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Aforismi, frasi e citazioni di Claudio Lamparelli

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Claudio Lamparelli, scrittore, traduttore e aforista italiano. Le seguenti riflessioni di Claudio Lamparelli sono tratte dai libri Aforismi su Dio (1995) e L’arte della serenità (1997).
Imparare a conoscere, a selezionare e a ridurre i desideri è certo la via maestra
per la saggezza. È, comunque, la via per la serenità. (Claudio Lamparelli)
Aforismi su Dio
© Mondadori 1995 - Selezione Aforismario

Il problema di Dio è che deve passare comunque attraverso le nostre anime e le nostre interpretazioni. Questo ci dice anche che Dio è incertezza.

La differenza fra religione e spiritualità? La prima incomincia dove finisce l'altra.

Per chi cerca una spiegazione ultima delle cose, Dio può costituire una grande tentazione. Ma, talvolta, è bene resistere alle tentazioni.

Quando consideriamo gli dèi pagani, sorridiamo. Ma forse, un giorno, qualcuno sorriderà così delle nostre immagini di Dio.

Se l'aldilà fosse un'apertura improvvisa dell'inconscio, per i più sarebbe l'inferno.

Le religioni non muoiono: cessano di essere vive; e proseguono come tradizioni.

Il guaio di chi ama tutti in generale è che non ama nessuno in particolare.

L'antica concezione del rapporto fra l'uomo e Dio ci ha portati a comandamenti espressi in forma negativa: non uccidere, non rubare, non desiderare, ecc. Una nuova concezione di questo rapporto ci dovrebbe portare a comandamenti espressi in forma positiva: sii te stesso, vivi la tua vita fino in fondo, gioisci, ecc.

Se lo scopo del Diavolo è quello di tentare l'uomo, appare abbastanza inutile.

La logica ha già fatto notare che, se non c'è nessuna verità, neppure questa può essere la verità.

Abbiamo avuto una decadenza della spiritualità quando ai saggi, che erano modelli di serenità e di equilibrato godimento dell'esistenza, abbiamo sostituito i santi, che sono modelli di sacrificio di sé.

Un Dio che avesse voluto far fallire l'uomo, gli avrebbe dato come meta la perfezione.

L’arte della serenità
Il potere terapeutico della saggezza
© Mondadori, 1997 - Selezione Aforismario

Serenità significa non essere in ansia, non sentirsi in colpa, non provare disagio, non vivere né troppo tesi né troppo fiacchi, non indulgere né all'attivismo né all'abulia, non cedere né all'esaltazione né al pessimismo, non credersi né superiori né inferiori agli altri; serenità è seguire una flessibile via di mezzo, è godere saggiamente dei beni dell’esistenza. Serenità è conoscere se stessi, cercando di capire anche il prossimo.

Nelle nostre società manca la scienza più importante: quella dell’autoconoscenza e dello sviluppo mentale. Proprio il punto fondamentale del processo educativo è affidato al caso o a ideologie e religioni nate secoli o millenni fa.

Una delle grandi degenerazioni della vita moderna è che la cultura insegna a discutere, a sottilizzare, a contrapporsi e a odiare, ma non a vivere in armonia. In una civiltà matura, questa dovrebbe essere la vetta della conoscenza.

È inutile propagandare ideali di amore, di fratellanza e di pace se ci si dimentica dell'esigenza fondamentale degli esseri umani: vivere con tranquillità.

Nessun insegnamento, nessun messaggio è veramente utile se non assicura l’armonia di base dell’individuo, nei confronti di se stesso, degli altri e dell’ambiente. È da qui che parte ogni possibilità di serenità e di convivenza, il senso positivo dell’esistenza.

La differenza tra felicità e serenità. La prima è un’emozione estrema che non può mantenersi a lungo e che, per una reazione dialettica, dà vita al suo contrario; la seconda è una via di mezzo che non ha nessun opposto naturale: essendo il punto centrale, il centro d’equilibrio, è in realtà minacciata dalle oscillazioni dell’emotività.

Il primo requisito per un approccio sereno alla vita è vedere le cose il più possibile così come sono e non come vorremmo che fossero.

La società e l’educazione fanno di tutto per convincere i giovani che la vita sia una specie di gara a premi, dove l’altro è inevitabilmente un concorrente da battere. Da simili ideali competitivi nascono tutti i nostri problemi.

Non basta nascere: occorre dare un senso alla propria vita.

Il nostro compito - diventare noi stessi, diventare ciò che siamo potenzialmente - non è dei più facili, e rappresenta il lavoro e il senso di tutta una vita. Come dice un proverbio talmudico: «Se io non sarò me stesso, chi lo sarà per me? E, se non ora, quando?».

Per riuscire nel compito di “diventare ciò che siamo”, dobbiamo imparare l’arte di osservare noi stessi, dobbiamo arrivare a guardarci come farebbe un estraneo. Questa operazione di auto-osservazione è essenziale per fare il punto della nostra condizione interiore.

La realizzazione di un uomo non è mai finita.

Uno dei motivi per cui la nostra vita può diventare asfittica e deprimente è la caduta delle speranze. Ci muriamo allora in una realtà rigida e stereotipata che viene erroneamente scambiata per una “visione matura” dell’esistenza.

Nessun uomo potrà mai trovare la vera serenità se sarà dominato dall'ambizione di avere sempre di più e di essere sempre il primo.

L’uomo lavora per allungare la vita e per renderla più felice, ma non può pensare di eliminare la disgregazione e la morte: se ci riuscisse, cancellerebbe l’esistenza stessa.

La via di ciascuno di noi non è qualcosa che sia stato deciso dall'alto, dal cielo, da Dio. È piuttosto l’espressione del nostro io più profondo, è esattamente ciò che siamo.

Saper trovare la propria via significa saper trovare se stessi, e saper trovare se stessi significa sapersi togliere gli strati sovrapposti dalla società e dalla cultura.

Ritrovare se stessi, ritrovare la propria via, è approdare a una sensazione di serenità, è sentirsi al posto giusto nel momento giusto, è mettersi nella condizione di risolvere finalmente i propri problemi.

Finché rimaniamo “figli”, finché ci aspettiamo che i genitori o altre figure autorevoli giungano ad aiutarci nei momenti difficili, ci troviamo in uno stato di sottomissione. Non abbiamo assunto la vita nelle nostre mani; in un certo senso siamo ancora dei bambini. E questo ci predispone a dipendere sempre da qualcuno: il professore, il capufficio, il padrone, il prete, il coniuge, lo stato e così via.

Se esistesse una religione della libertà (e della felicità), i suoi primi comandamenti dovrebbero essere più o meno: «Sii te stesso… Vivi la tua vita fino in fondo… Sii autonomo… Combatti la sofferenza, ecc.».

Per sentirci realizzati, non abbiamo bisogno di grandi mete. La gioia è fatta di piccole cose, ovvero del soddisfacimento di bisogni che sembrano piccoli alla voracità del nostro desiderio ma che in realtà sono l’essenza del vivere.

Il saggio non è un uomo che non prova sentimenti (e risentimenti), bensì un individuo che non si fa travolgere e guidare dalle opposte emozioni, riconoscendo che il comportamento giusto non può che scaturire da una mente calma e limpida.

Per conservare la serenità, ovvero lo stato d’animo mediano, dobbiamo identificare dentro di noi quel nucleo profondo, quel “centro dell’essere”, che non è toccato né dalle gioie né dai dolori estremi: un centro di calma e di consapevolezza che non si fa travolgere dagli sbandamenti emotivi e che tende a ridimensionare gli eccessi, in un senso o nell'altro.

Le cadute, le crisi, hanno questo aspetto positivo: ci fanno comprendere meglio le cose; dobbiamo quindi sfruttarle come fonti di esperienza. Il fatto stesso di utilizzarle in tal modo ci evita di esserne travolti.

Il nostro compito non è quello di adeguarci a modelli precostituiti, di “diventare qualcuno”, ma di diventare ciò che siamo, cioè di essere semplicemente noi stessi.

Imparare a conoscere, a selezionare e a ridurre i desideri è certo la via maestra per la saggezza. È, comunque, la via per la serenità.

Quanto più restringiamo i nostri interessi alle piccole beghe della vita, alle chiacchiere, agli spettacoli insulsi, alle letture d’evasione e alle pure necessità della sopravvivenza, tanto più si impoverisce il nostro spirito; e quanto più si impoverisce il nostro spirito, tanto più ci troviamo privi di difese in caso di crisi.

Dovremmo tutti abituarci ad allargare i nostri orizzonti, a rialzare periodicamente il capo dalla mangiatoia, non solo leggendo e meditando le opere dei grandi saggi, ma anche contemplando la maestà della natura e del cosmo, oppure semplicemente decondizionando la mente.

Per riuscire a morire con serenità, occorre riuscire a vivere con serenità. E vivere con serenità vuol dire contemplare e accettare la grande saggezza della morte.

Jiddu Krishnamurti
Liberarsi dai condizionamenti
© Mondadori 2014

Poiché siamo tutti consapevoli che la nostra condizione umana è precaria, da una parte abbiamo paura del caos e dall'altra cerchiamo un'impossibile sicurezza attaccandoci al noto, al conosciuto, al passato; ma, così facendo, ci chiudiamo davanti al nuovo e ci costruiamo a poco a poco una camicia di forza che ci toglie ogni libertà, il senso autentico dell'essere vivi.

Libro di Lamparelli consigliato
L’arte della serenità
Il potere terapeutico della saggezza
Editore: Mondadori, 1997

La serenità, che può essere definita la chiave di volta del nostro benessere psicofisico, nasce dal naturale equilibrio fra interiorità ed esteriorità e si situa sulla linea di demarcazione fra opposte esigenze: è quell'armonia nei confronti di se stessi e degli altri che viene messa a dura prova dagli avvenimenti, positivi o negativi che siano. Come fare a conservarla o a ripristinarla quando la si è perduta? Il problema è stato dibattuto dai saggi di tutti i tempi e di tutti i paesi. Partendo dalle loro considerazioni Claudio Lamparelli svolge una serie di riflessioni riguardanti le situazioni pratiche della nostra esistenza che mirano a un duplice scopo: identificare le cause profonde che mettono in crisi la serenità e realizzare, con queste stesse meditazioni, una particolare specie di difesa e di terapia, quella che un tempo si chiamava "cura dell'anima".