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Frasi e citazioni di Roberto Calasso

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Roberto Calasso (Firenze 1941 - Milano 2021), scrittore, saggista e editore italiano, proprietario e direttore editoriale della casa editrice Adelphi; "Tutto sommato, Adelphi è passata indenne attraverso le turbolenze politiche dei primi quindici anni. Gli antipatizzanti – non pochi – semplicemente non riuscivano a orientarsi. La stessa casa editrice che veniva accusata di essere di élite sarebbe stata accusata pochi anni dopo, sempre dalle stesse persone, di essere troppo commerciale". [L'impronta dell'editore, 2013].
Se esistesse (e non l’ho mai incontrato) un editore che pubblica
soltanto per fare denaro, nessuno gli darebbe ascolto.
E probabilmente fallirebbe presto. (Roberto Calasso)
La rovina di Kasch
© Adelphi 1983

C’è un vero sacrificio, implicante perciò la distruzione, che va avanti in ogni istante sul pianeta: l’esperimento. Qui il presupposto è la cancellazione di ogni metafisica memoria del sacrificio: così estrema che, per un sinistro lapsus, in gergo di laboratorio si usa dire che vengono « sacrificati » gli animali quando li si elimina dopo averli usati negli esperimenti. La piramide sacrificale, dove il sangue intride le calde pietre dell’altare, diventa un vasto mattatoio, si estende orizzontalmente in un angolo qualsiasi della città.

L'ardore
© Adelphi 2010

Gli dèi abitano là dove sempre hanno abitato. Ma sulla terra si sono perdute certe indicazioni che si possedevano su quei luoghi. O non si sa più ritrovarle in vecchi fogli abbandonati e dispersi.

L'uomo è l'unico essere del regno animale ad aver abbandonato la sua natura, se per natura si intende il repertorio di comportamenti del quale ogni specie appare provvista fin dalla nascita.

La religione del nostro tempo, all'interno della quale anche la cristianità o l'Islam sono immense enclaves, è la religione della società.

Un mito è una biforcazione in un ramo di un immenso albero. Per capirlo occorre avere una qualche percezione dell'intero albero e di un alto numero delle biforcazioni che vi si celano. Quell'albero non c'è più da lungo tempo, asce ben affilate l'hanno abbattuto.

L'impronta dell'editore
© Adelphi 2013 - Selezione Aforismario

Se si chiede a qualcuno: che cos’è una casa editrice? la risposta abituale, e anche quella più ragionevole, è la seguente: si tratta di un ramo secondario dell’industria nel quale si tenta di fare denaro pubblicando libri. E che cosa dovrebbe essere una buona casa editrice? Una buona casa editrice sarebbe – se mi è concessa la tautologia – quella che si suppone pubblichi, per quanto possibile, solo buoni libri. Quindi, per usare una definizione sbrigativa, libri di cui l’editore tende a essere fiero, piuttosto che vergognarsene.

Pubblicare buoni libri non ha mai reso spaventosamente ricco nessuno. O, per lo meno, non in misura comparabile a ciò che può accadere fornendo al mercato acqua minerale o computer o borse di plastica.

A quanto pare un’impresa editoriale può produrre guadagni notevoli soltanto a condizione che i buoni libri siano sommersi fra molte altre cose di qualità assai differente. E quando si è sommersi, può facilmente accadere di annegare – e così sparire del tutto.

Insieme con roulette e cocottes, fondare una casa editrice è sempre stato, per un giovane di nobili natali, uno dei modi più efficaci per dissipare la propria fortuna.

Un buon editore è quello che pubblica circa un decimo dei libri che vorrebbe e forse dovrebbe pubblicare.

Oltre a essere un ramo degli affari, l’editoria è sempre stata una questione di prestigio, se non altro perché si tratta di un genere di affari che al tempo stesso è un’arte.

Perché un editore rifiuta un certo libro? Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, una figura che rischierebbe di squilibrare l’insieme o di snaturarlo.

All’interno di una casa editrice della specie che sto descrivendo, un libro sbagliato è come un capitolo sbagliato in un romanzo, una giuntura debole in un saggio, una chiazza di colore urtante in un quadro.

Se esistesse (e non l’ho mai incontrato) un editore che pubblica soltanto per fare denaro, nessuno gli darebbe ascolto. E probabilmente fallirebbe presto.

Il risvolto è un’umile e ardua forma letteraria che non ha ancora trovato il suo teorico e il suo storico. Per l’editore, spesso offre l’unica occasione per accennare esplicitamente ai motivi che lo hanno spinto a scegliere un certo libro.

Osserviamo un lettore in libreria: prende in mano un libro, lo sfoglia – e, per qualche istante, è del tutto separato dal mondo. Ascolta qualcuno che parla, e che gli altri non sentono. Accumula casuali frammenti di frasi. Richiude il libro, guarda la copertina. Poi, spesso, si sofferma sul risvolto, da cui si aspetta un aiuto. In quel momento sta aprendo – senza saperlo – una busta: quelle poche righe, esterne al testo del libro, sono di fatto una lettera: la lettera a uno sconosciuto.

Se si vuole capire l’essenziale della fotografia, basta studiare l’opera di Nadar. Se si vuole capire che cosa può essere una grande casa editrice, basta dare un’occhiata ai libri stampati da Aldo Manuzio. Fu lui il Nadar dell’editoria.

Tutti i libri pubblicati da un certo editore potevano essere visti come anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati da quell’editore. Questo, ovviamente, è il traguardo più audace e ambizioso per un editore, e tale è rimasto da cinquecento anni.

La mia proposta è che agli editori si chieda sempre il minimo, ma con durezza. E qual è questo minimo irrinunciabile? Che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica.

L’editoria è un mestiere dove l’eccellenza è riservata a pochissimi. Se guardiamo al mondo intero e al nostro intero secolo, molti sono gli editori buoni (si intenda: che hanno pubblicato buoni libri). Molti anche gli editori bravi (si intenda: abili nel pubblicare libri di ogni genere). Pochi gli editori grandi. Certamente meno numerosi dei grandi scrittori da loro stessi pubblicati.

Essere editore di qualcosa conserva ancora un che di ominoso e prestigioso, come se si trattasse di una funzione superiore a quella del mero produttore.

Quale compito rimane per l’editore? Sussiste tuttora una tribù dispersa di persone alla ricerca di qualcosa che sia letteratura, senza qualificativi, che sia pensiero, che sia indagine (anche questi senza qualificativi), che sia oro e non tolla, che non abbia l’inconsistenza tipica di questi anni.

Libro unico è quello dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto.

Il Cacciatore Celeste
© Adelphi 2016

Quando la caccia ebbe inizio, non c’era un uomo che inseguiva un animale. C’era un essere che inseguiva un altro essere. Nessuno avrebbe potuto dire con certezza chi erano l’uno e l’altro.

Gli animali osservarono gli uomini a lungo, perplessi. Si accorgevano che qualcosa stava cambiando. Gli uomini non erano più un animale fra i tanti che i grandi predatori assalivano e divoravano, nella savana e nelle caverne. Ora anche gli uomini assalivano e divoravano. Ma non lo facevano a mani nude. Si servivano sempre di qualche strano oggetto. Pietre, aste, picche. E alla fine usarono qualcosa di ancora più strano: colpivano da lontano, con punte di ossidiana che penetravano nella pelle. Erano l’unico animale che colpiva da lontano. Quando gli uomini avanzavano, nella boscaglia o nella foresta, si avvertiva un odore speciale, qualcosa di sgradevole e allarmante. Erano i cacciatori.

L’uomo non è un predatore nato, ma un predatore acquisito. Per diventare tale, ha dovuto negare ciò che era, aggiungendo al suo corpo una protesi – una selce scheggiata, un’asta acuminata, un arco.

Con la pastorizia e l’agricoltura, l’animale era soltanto animale, separato per sempre dall’uomo. Per i cacciatori, invece, l’animale era ancora un altro essere, né animale né uomo, cacciato da esseri che non erano né animali né uomini.

Nella storia di nessun animale è avvenuto uno scarto nel modo di vita così brusco come in quella dell’uomo: da primate raccoglitore di frutti e radici, perseguitato da predatori, ad animale onnivoro, quindi anche carnivoro, un bipede che caccia in gruppo quadrupedi spesso più grandi di lui. L’uomo si distacca dall’animale acquisendo i suoi poteri.

Come ordinare una biblioteca
© Adelphi 2020 - Selezione Aforismario

La libreria ideale è quella dove ogni volta si compra almeno un libro – e molto spesso non quello (o non solo quello) che si intendeva comprare quando si è entrati.

La prima virtù del libraio: la capacità di orientarsi (fra i libri, fra gli scaffali, fra i gusti dei clienti, ecc.).

Un ordine perfetto è impossibile, semplicemente perché c’è l’entropia. Ma senza ordine non si vive.

Il libro, come il cucchiaio, appartiene a quegli oggetti che vengono inventati una volta per tutte – in tempi molto antichi o anche piuttosto recenti. Passibili di innumerevoli variazioni, ma all’interno di uno stesso gesto: attingere una piccola quantità di liquido, per il cucchiaio; leggere un testo, anche lungo, tenendolo fra le mani, sfogliandolo e spostando con facilità l’attenzione al suo interno.

Tutti i discorsi su un eventuale soppiantamento del libro con altri mezzi ignorano un fatto elementare: il nostro repertorio di gesti è quanto mai limitato. E gli oggetti sono tentativi più o meno felici di adattarsi alle caratteristiche inevitabili di quei gesti.

Il lettore vero sta sempre leggendo un libro – o due o tre o dieci –, e la novità arriva come un disturbo – talvolta irritante, talvolta gradito, talvolta anche desiderato – all’interno di quella attività ininterrotta.

Ogni lettore vero segue un filo (che siano cento fili o un filo solo è indifferente). Ogni volta che apre un libro riprende in mano quel filo e lo complica, imbroglia, scioglie, annoda, allunga.

L’intrecciarsi delle letture nello stesso cervello è una versione impalpabile di quelle reti neuronali che fanno disperare gli scienziati.

Il bibliofilo che non osa neppure tagliare le pagine di una prima edizione per non lederne l’integrità è il contrario del vero lettore. Il feticismo, per essere salutare, implica l’uso, il contatto.

Essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito. Poi, a distanza di un anno, o di due anni, o di cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, potrà venire il momento in cui si penserà di aver bisogno esattamente di quel libro – e magari lo si troverà in uno scaffale poco frequentato della propria biblioteca.

Oggi l’informatica ha ridotto enormemente i tempi dell’attesa e della ricerca di un libro. È uno dei tanti esempi di illusoria onnipotenza fomentati dalle macchine. Ma questo nulla toglie all’incanto di trovarsi fra le mani – immediatamente – un libro di cui non si sapeva di aver bisogno sino a un momento prima.

Come una casa editrice si fonda su dei no molto più numerosi dei sì, così una biblioteca dovrebbe fondarsi su larghe esclusioni.

Nulla di più desolante di certe interviste televisive con uomini politici e sindacalisti italiani, girate nei loro uffici. Dietro la persona che parla si intravedono due o tre scaffali e si capisce subito che lì non c’è un solo libro. Sono atti di convegni, relazioni, pubblicazioni in omaggio, repertori, annuari, forse anche le poesie di un parente. Nulla che sia destinato a essere letto. Con buone ragioni.

Molto raro è il caso di libri che abbia letto e siano rimasti tali e quali, senza alcun segno a matita. Non aggiungere a un libro tracce della lettura è una prova di indifferenza – o di muto stupore.

Ho sempre diffidato di quelli che vogliono conservare i libri intatti, senza alcun segno d’uso. Sono cattivi lettori.

L’e-book. Oggetto di una infatuazione collettiva, per qualche tempo è fiorito come una rigogliosa pianta tropicale per appassire poi altrettanto rapidamente.

Oggi appare acquisito che l’e-book è una modalità di lettura accanto a altre e continuerà a sussistere, senza però danneggiare il libro cartaceo in modo irreparabile, come taluni speravano e come invece è avvenuto per l’industria discografica sotto l’urto dei mezzi elettronici.

Oggi il libro è qualcosa che vive sui margini – e quasi di riflesso –, rispetto a un magma in perpetuo mutamento, che si manifesta su schermi.

La libreria come grande emporio, dove in linea di principio si trova di tutto, non sembra avere un brillante futuro. Ma che cosa accadrà all’altro tipo di libreria, che presuppone la nozione di letteratura? Per questa libreria si apre una sola strada: puntare su qualcosa che per via elettronica non si può ottenere: il contatto fisico con il libro e la qualità.

Farsi da articoli e interviste
Selezione Aforismario

Il mondo ormai si lascia capire soltanto se lo si aggira.

Oggi, l'ultima frontiera per il devoto della sinistra sta nel dichiararsi 'anticapitalista'. Ma dietro questa parola si può celare di tutto. Il più grande dei reazionari, Joseph de Maistre, era 'anticapitalista' .

Progressista è una parola che è difficile ormai pronunciare senza arrossire, per la totale vacuità del significato che ha assunto. L'idea di progresso è stata ridicolizzata dalla storia, oltre che dal pensiero, ma a guardarci intorno si direbbe che nulla sia avvenuto. L'unico ambito in cui la parola «progresso» ha un significato incontrovertibile è quello tecnologico. Ma sappiamo benissimo che il progresso tecnologico può convivere con qualsiasi atrocità.

Sarebbe funesto pensare che la lettura sia qualcosa di buono in sé.

Note
Vedi anche aforismi, frasi e citazioni di: Roberto BazlenUmberto Eco