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Significato di Frasi e Citazioni dalla P alla Z

In questa pagina è riportato il significato di frasi e citazioni che cominciano con le lettere che vanno dalla P alla Z. Le citazioni sono elencate in ordine alfabetico, e man mano che nuove frasi vengono segnalate ad Aforismario, saranno aggiunte. In fondo alla pagina trovi il link all'elenco completo delle frasi.
Significato di frasi e citazioni - Spiegazioni semplici e brevi da Aforismario
Pánta rêi
Questa celebre affermazione, attribuita all'antico filosofo greco Eraclito, significa: "Tutto scorre", cioè, tutto è in continuo movimento e mutamento; al mondo non vi è nulla di stabile. Di tale evidenza traiamo conferma dalla nostra stessa esistenza, dalla storia dell'umanità e dalla natura che ci circonda.

Penelope non cerca un marito, vuole Ulisse.
Frase di Jean-Pierre Vernant, antropologo francese, storico della filosofia e delle religioni, noto soprattutto per i suoi studi dell'età classica e della mitologia greca. La citazione (in lingua originale: Pénélope ne cherche pas un époux, elle veut Ulysse) è tratta dal libro Dans l'oeil du miroir (1997), pubblicato in italiano da Donzelli nel 2003 col titolo: Ulisse e lo specchio. Il femminile e la rappresentazione di sé nella Grecia antica. Per spiegare il significato di questa frase, bisogna ricordare quanto narrato nell'Odissea: Penelope, moglie di Ulisse e regina di Itaca, attende per vent'anni il ritorno di Ulisse, partito per la guerra di Troia, crescendo da sola il figlio Telemaco. In tutti questi anni Penelope respinge tutti i nobili pretendenti alla sua mano, i Proci, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai Proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. Alla fine, Ulisse tornò, uccise i Proci e si ricongiunse con Penelope. Per il suo comportamento, Penelope è diventata simbolo della fedeltà coniugale femminile, della donna capace di aspettare anche per anni l'uomo che ama senza mai dubitare del suo amore. La frase di Jean-Pierre Vernant sottolinea proprio questo aspetto: "Penelope non cerca un marito, vuole Ulisse", cioè non ha bisogno di un uomo qualsiasi col quale mettere su famiglia (altrimenti avrebbe accettato la proposta di uno dei Proci), ma dell'uomo di cui è innamorata, che ha scelto una volta per tutte e col quale desidera trascorrere tutta la vita. A Penelope, insomma, non interessa tanto un uomo da sposare, quanto un uomo da amare.

Pensavo fosse amore, invece era un calesse.
Si tratta del titolo di un film di Massimo Troisi del 1991, che racconta la fine lenta e graduale di una storia d'amore tra Tommaso (interpretato dallo stesso Troisi) e Cecilia (interpretata da Francesca Neri). Molti si chiedono cosa significa questo titolo, e perché alla parola "amore" è associata proprio la parola "calesse". C'è chi pensa che essa abbia un qualche significato simbolico, o faccia riferimento a qualche tradizione napoletana: niente di tutto questo. La frase esprime la profonda delusione di chi (come Troisi nel film) a un certo punto si rende conto che la propria relazione sentimentale si trascina avanti più per abitudine che per amore, e che anzi quello che pensava fosse amore è in realtà qualcos'altro − un calesse, per esempio. La parola "calesse" è usata per esprime la delusione di ritrovarsi davanti qualcosa di completamente diverso − e allo stesso tempo inutile e ingombrante − rispetto a ciò che ci si aspettava. Al posto della parola calesse, dunque, Troisi avrebbe potuto usare tante altre parole, come lui stesso ha confermato in diverse interviste: "Per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto, una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all'amore spirituale che non c'è più". "Se era un pianoforte mi chiedevate perché il pianoforte e non il calesse... mi piaceva calesse; poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo, quindi per chi si vuole sbizzarrire ci sono tante cose... non lo so, l'ho scelto così". Chiarito l'enigma, del calesse, concludiamo con una bella riflessione di Troisi sull'atteggiamento che bisognerebbe tenere quando finisce un amore: "Quando non è più amore ma «calesse», bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male... Quando si smette di amare, in genere non si ha la pazienza di aspettare che finisca bene, si cerca la strada più breve, la rottura, la sofferenza. Invece ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio... vivere questo momento con la stessa passione, far sentire alla persona lasciata tutto il bene che c'è stato: ci vuole amore per chiudere una storia. Aspettare un po' per non buttare via tutto ma recuperare quanto è possibile, ricreando un «dopoamore», fatto di conoscenza e di complicità, qualcosa che può essere molto più forte dell'amicizia".

Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine stanno per essere gettate in mare.
[When the seagulls follow the trawler, it is because they think sardines will be thrown into the sea].
Questa frase fu pronunciata, in inglese, dal calciatore francese Éric Cantona nel 1995 durante una conferenza stampa assiepata di giornalisti e fotografi. Cantona, che non aveva certo un carattere facile, diversi giorni prima era stato espulso durante una partita tra il Manchester United, in cui militava, e il Crystal Palace, per aver colpito con un calcio un avversario. Mentre si incamminava verso gli spogliatoi, un tifoso del Crystal Palace, che poi si scoprirà essere un militante neofascista, gli urlò contro alcune frasi offensive alle quali il calciatore rispose colpendolo con un calcio e con alcuni pugni. Il fatto suscitò un grande clamore mediatico e Cantona, ovviamente, fu subissato di critiche per il suo folle gesto. Ebbene, dopo alcuni giorni di assoluto silenzio, Cantona organizzò una conferenza stampa per parlare dell'accaduto. Tutti si aspettavano chissà quale discorso, ma Cantona, con studiata lentezza, pronunciò soltanto la frase divenuta celebre, si alzò e se ne andò senza fornire nessun'altra spiegazione, lasciando i giornalisti in parte sconcertati e in parte divertiti. È chiaro, comunque, che la frase era rivolta in modo provocatorio proprio ai giornalisti, da cui si sentiva molto infastidito, i quali, proprio come fanno i gabbiani coi pescherecci, gli stavano continuamente intorno con la speranza di ricevere qualche suo commento (le "sardine") sull'accaduto, ma che in quel caso restarono all'asciutto.

Quando la persona è niente, l'offesa è zero.
Questa frase, nota in diverse varianti, come per esempio: "Quando il soggetto è zero l'offesa è nulla", è diventata popolare dopo essere stata pronunciata dalla cantante Anna Tatangelo durante la trasmissione X Factor, trasmessa su Rai 2 nel 2010. Il significato è abbastanza intuitivo: quando si riceve un'offesa da qualcuno che per noi non conta nulla, la sua offesa non ci tocca minimamente. La frase, detta in risposta a un insulto, è a sua volta un'offesa anche abbastanza pesante, visto che con essa si dice al nostro malcapitato interlocutore che non vale niente.

Quando la ferita brucia la tua pelle si farà.
Si tratta di un verso tratto dalla canzone Il giorno di dolore che uno ha (1997) di Luciano Ligabue: "Quando la ferita brucia la tua pelle si farà / sopra il giorno di dolore che uno ha". La canzone è stata scritta dal rocker italiano per l'amico giornalista musicale Stefano Ronzani, per cercare d'infondergli un po' di speranza durante una sua grave malattia: "Stefano Ronzani si ammalò gravemente e ci fu un momento della sua malattia in cui capii che le lunghissime chiacchierate sul farsi forza, sul darsi speranza, sul combattere in qualche modo il suo male in realtà avevano perso significato... Provai allora a comunicargli questa cosa nella maniera che la fortuna o il caso o qualcuno ha deciso che, tutto sommato, con me funziona: una canzone". Il significato del verso, considerato in senso generale, è che le sofferenze e le esperienze negative che tutti dobbiamo affrontare nel corso della nostra vita, se non ci lasciamo abbattere, possono contribuire a renderci più forti, proprio come la pelle, dopo aver subito una ferita, si cicatrizza diventando un po' più spessa. Il significato di questo verso richiama un po' un famoso aforisma del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche: "Quello che non mi uccide, mi rende più forte".

Quando pensi di avere tutte le risposte la vita ti cambia tutte le domande.
Questa frase è di solito attribuita, almeno in Italia, al personaggio dei Peanuts Charlie Brown, ma si tratta, forse, di una variante anonima della seguente frase dell'intervistatore Roddy Piper: "Proprio quando pensano di avere le risposte, io cambio le domande!" (per approfondimenti vedi "Citazioni errate" su Aforismario). Chiunque ne sia l'autore, la frase evidenzia in modo pregevole l'imprevedibilità della vita e la fragilità di tutte le nostre certezze. Quando, infatti, pensiamo di aver raggiunto una comprensione sicura di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda, una nuova esperienza di vita o un evento inatteso possono stravolgere tutto ciò che pensavamo di aver conquistato saldamente. Pertanto, tutte le risposte rassicuranti che spesso ci diamo nel corso della nostra esistenza, diventano presto inservibili, perché la vita ci pone continuamente nuove domande.

Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare.
Questo aforisma del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, tratto da Aurora (1881), può essere spiegato dicendo che quando una persona percorre la propria strada, allontanandosi in tal modo dal percorso comune, è visto dalla maggior parte delle persone che sono incapaci di comprenderlo, non come qualcuno che coraggiosamente si dirige da solo verso una meta ancora sconosciuta, ma come uno sciocco che sta smarrendosi. L'aforisma è forse legato alla biografia di Nietzsche stesso, che per le sue idee contrarie alla religione e alla morale comune del suo tempo, invece di essere ammirato per la profondità e la grandezza del suo pensiero, veniva criticato a allontanato sempre più anche da molti suoi conoscenti. Ma il fatto era che Nietzsche aveva preso il volo e s'innalzava sempre più nei cieli inesplorati della conoscenza, mentre gli altri lo vedevano sempre più piccolo semplicemente perché, incapaci di volare, erano rimasti a terra.
Quelli che danzavano erano visti come pazzi da quelli che non
sentivano la musica. (Anonimo - attribuito a Friedrich Nietzsche)
Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica.
Questa frase è in assoluto quella con più richieste di spiegazioni sul suo significato. Un'altra versione della stessa frase che circola su internet è: "Coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica". La frase è attribuita al filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, ma in realtà il vero autore è sconosciuto (per approfondimenti sull'attribuzione vedi "Citazioni errate" su Aforismario). La comprensione di questa frase è resa difficile proprio dal fatto di essere anonima, perché ciò non consente di poterla leggere nel suo contesto originale, cosa che facilita molto la comprensione di ciò che un autore vuole esprimere. Proviamo comunque a darne una spiegazione che sia la più semplice possibile. Immaginiamo che in una scuola di danza moderna, alcune persone ballino liberamente, e che un passante li intraveda per caso attraverso i vetri di una finestra: non potendo udire la musica, il passante vedrà soltanto delle persone che si agitano disordinatamente e senza motivo, il che potrà fargli dedurre che l'edificio che si trova davanti è un centro di riabilitazione psichiatrica e che quelli che vede muoversi in continuazione non sono altro che dei poveri matti lasciati liberi di sfogarsi. Ebbene, come i danzatori di questa storiella, coloro che sono animati da una grande passione, alla quale dedicano anima e corpo, agli occhi di quelli che non la condividono e non riescono a comprenderne né il significato né il valore, possono apparire come degli esagitati, dei folli, appunto.

Ridere è una cosa seria, non puoi farlo con chiunque.
Questa frase, di autore sconosciuto, nella sua semplicità sottolinea due concetti psicologici importanti: il primo è quello dell'importanza del riso [non quello che si mangia!] nelle relazioni interpersonali; il secondo è quello dell'affinità che deve esistere tra due o più persone perché si rida delle stesse cose. In questo senso, ridere di cuore con qualcuno per fatti magari anche banali, che lasciano indifferenti altri, è un sicuro segno dell'esistenza di una buona compatibilità di carattere e, come ha detto qualcuno, un buon modo per cominciare un'amicizia o, aggiungiamo noi, per instaurare una relazione sentimentale.

Se ami un fiore non raccoglierlo.
Queste parole costituiscono la prima parte di un pensiero del maestro spirituale indiano Osho (1931-1990). Il significato di questa riflessione, nella sua completezza, è abbastanza chiaro e, tra l'altro, anche abbastanza comune nella filosofia orientale: "Se ami un fiore, non raccoglierlo. Perché se lo raccogli, esso muore e cessa di essere ciò che amavi. Se ami un fiore lascialo vivere. L'amore non è possedere; l'amore è saper apprezzare". Ovviamente Osho qui utilizza il fiore come metafora, che può essere applicata all'amore in genere e all'amore per una persona in particolare. Secondo Osho, dunque, quando si ama una persona, bisogna apprezzarla per quel che è, evitando di soffocare la sua libertà e la libera espressione della sua personalità, come se fosse un oggetto in nostro possesso che possiamo modellare a nostro piacimento. Anche perché così facendo ci ritroveremmo accanto non più la persona che abbiamo scelto di amare, ma una persona diversa, sicuramente meno autentica.

Se vuoi capire una persona non ascoltare le sue parole osserva il suo comportamento.
Questa frase è la traduzione infedele di una riflessione di Albert Einstein riferita ai fisici teorici, che puoi leggere nella sezione "Citazioni errate" del sito Aforismario. Qui ci interessa soltanto dare una spiegazione del suo significato al di fuori dal suo contesto originale. La frase richiama una basilare teoria psicologica, secondo la quale il linguaggio non verbale (cioè il tono della voce, i gesti, le espressioni del viso, gli atteggiamenti, ecc.), essendo più spontaneo, esprime in maniera più sincera e diretta ciò che uno è rispetto al linguaggio verbale, il quale può essere, invece, falsato o quanto meno controllato razionalmente. Questo è il motivo per cui la frase suggerisce, giustamente, che se si vuole conoscere una persona, conviene affidarsi più all'osservazione del suo comportamento che al semplice ascolto di ciò che riferisce a parole.

Secoli di poesia e siamo sempre al punto di partenza.
Questa citazione è costituita da alcuni versi di una poesia di Charles Bukowski, che esprimono il rammarico nel vedere come, nonostante nel corso della storia molti artisti abbiano contribuito con le loro opere a diffondere la bellezza e a elevare l'animo umano, il mondo sembra non sia progredito per nulla, continuando a rimanere immerso nell'orrore della violenza e nella stupidità delle masse. Ma lasciamo la parola allo stesso Bukowski, riportando un brano della poesia da cui sono tratti i versi citati: "continuano tutti a pubblicare poesie / ma cosa possa davvero realizzare / la poesia è dubbio. / secoli di poesia / e siamo sempre / al punto di partenza. / come la filosofia, la storia, la medicina, la scienza, la poesia sembra / cambiare la realtà, / sembra offrirci / una via d'uscita ma poi vacilla contro / le volubili correnti e le circostanze / sfavorevoli. / una poesia non è meglio di un buon apribottiglie, / di una ruota di scorta, / o di un' aspirina / contro il mal di testa. / non è niente di che la poesia / ma lasciatevi dire / che se non l'avessi / scoperta / sarei morto / oppure / sareste morti voi". (La poesia, in La canzone dei folli, 1997; traduzione di Enrico Franceschini © Feltrinelli 2000.

Sii padrone della tua volontà e schiavo della tua coscienza.
Questa frase, che si trova spesso attribuita ad Aristotele, è un aforisma della scrittrice austriaca Marie von Ebner-Eschenbach (1830-1916). Di questo pensiero abbiamo, in via eccezionale, l'autorevole spiegazione dello psicologo austriaco Viktor Frankl: "Padrone della mia volontà lo sono in quanto uomo, ma unicamente allorché intendo rettamente questo mio essere-uomo: nel momento cioè in cui concepisco la mia intera esistenza come un essere-libero, un essere-pienamente-responsabile [...] 'Schiavo della mia coscienza' posso esserlo solo quando la conversazione con essa è un autentico dialogo e non un puro e semplice monologo. Se cioè la mia coscienza è qualcosa di più del mio Io, se è il portavoce di qualcosa di diverso".
Una spiegazione più semplice potrebbe essere la seguente: bisogna essere padroni della propria volontà per dominarla, per essere forti, per mantenere la propria direzione, per continuare a lottare contro ogni avversità nel raggiungimento dei propri obiettivi, per non arrendersi o per non lasciarsi andare alla pigrizia. Nello stesso tempo, bisogna essere servitori (più che schiavi) della propria coscienza, cioè della propria istanza morale, nel perseguimento del bene.

Soltanto la musica è all'altezza del mare.
Questa è una frase che lo scrittore e filosofo francese Albert Camus annotò nei suoi Taccuini nel 1956: "Musica sul transatlantico dell'Atlantico Sud. Soltanto la musica è all'altezza del mare. E certi brani di Shakespeare, di Melville...". Con essa, Camus vuole dire, probabilmente, che i sentimenti e i pensieri che è capace di suscitare in noi la vista del mare, con tutta la sua maestosità e bellezza, possono essere paragonati soltanto a quelli suscitati in noi da alcune espressioni artistiche, quali la musica e alcuni rari testi di letteratura.

Tutto ciò che vuoi è dall'altra parte della paura.
Questa frase "motivazionale" di Jack Canfield è un incoraggiamento a superare i propri timori e ad agire per realizzare i propri desideri. Spesso, infatti, il primo ostacolo che si pone tra noi e un obiettivo, non sta tanto nelle difficoltà in sé stesse, quanto nella paura di affrontarle. Se si riesce a superare la paura, tutte le difficoltà possono essere affrontate. Come dice Seneca: "Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili".

Una tigre non perde il sonno per l'opinione di una pecora.
L'autore di questa frase è sconosciuto, anche se in inglese è spesso attribuita a un certo Shahir Zag: "A tiger doesn't lose sleep over the opinion of sheep". In ogni caso, il significato è abbastanza evidente: i forti e i potenti (rappresentati dalla tigre) non sono minimamente turbati da ciò che pensano di loro le persone comuni (rappresentate dalla pecora).


Note
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