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Poesie di Charles Baudelaire da "I fiori del male"

Selezione di alcune delle più belle poesie di Charles Baudelaire (Parigi 1821-1867) poeta, scrittore e critico d'arte francese. Le seguenti poesie sono tratte dalla celebre raccolta: I fiori del male (Les fleurs du Mal, 1857-1861), e tradotte dal francese da Giovanni Soriano. Su I Fiori del Male, ha scritto Gesualdo Bufalino:
"Le Fleurs du Mal sono state, per tutto l'Ottocento e oltre, il Libro dei Libri, il diamante sul quale si sono curvati a specchiarsi i poeti puri e gl'impuri, i lucratori della realtà e i profeti della visione. In effetti non c'era pascolo più ricco: il «sublime d'en bas» vi confina col «sublime d'en haut», l'anagramma linguistico con lo psicogramma morale; e tutti i brividi dell'esistenza vi si ritrovano, la misericordia, la crudeltà, il duello con Dio: con se stessi, l'attrattiva della solitudine e della folla, l'orgoglio, l'abbandono, le servitù e le grandezze della pena d'amore. Non c'è turbamento umano che non sia qui incalzato e amato, nessuno che non vibri dentro questo libro atroce, come l'autore stesso volle chiamarlo. Noi preferiremmo vederci un breviario non meno consolante che sconsolato, un'esca di fuoco rimasta a bruciare fra le ceneri di un cuore ostinatamente bambino". (Introduzione a I Fiori del Male, Mondadori, 1983).
In molte poesie di Baudelaire emerge la sua anima di "autore maledetto":
"In mezzo agli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli scorpioni, gli avvoltoi, i serpenti, fra i mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi, uno ve n'è, più laido, più cattivo, più immondo. Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo. È la Noia! L'occhio gravato da una lacrima involontaria, sogna patiboli fumando la sua pipa. Tu lo conosci, lettore, questo mostro delicato - tu, ipocrita lettore - mio simile e fratello!" (Charles Baudelaire, Al lettore).
Su Aforismario trovi anche una grande raccolta di aforismi di Baudelaire [il link è in fondo alla pagina].
Potete vivere tre giorni senza pane; ma senza poesia, in nessun caso.
(Charles Baudelaire)

Una carogna
Ricordate, anima mia, la cosa che vedemmo
quel così dolce mattino d'estate;
alla svolta d'un sentiero un'infame carogna 
su un giaciglio cosparso di sassi,

le gambe all'aria, come una donna impudica,
ardente e trasudante veleni,
spalancava in modo cinico e disinvolto 
il ventre pieno d'esalazioni.

Il sole irradiava questo putridume,
come volesse cuocerlo a puntino,
e rendere centuplicato alla grande Natura
tutto ciò che essa aveva congiunto;

e il cielo osservava la superba carcassa
schiudersi come un fiore.
Talmente forte era il fetore, che sull'erba
vi sentiste svenire.

Le mosche ronzavano sopra quel ventre putrido,
da cui uscivano neri battaglioni 
di larve, che colavano come un liquido denso
lungo quei brandelli di vita.

Il tutto scendeva e risaliva come un'onda
o si slanciava gorgogliando;
si sarebbe detto che il corpo, gonfiato da un vago soffio,
vivesse moltiplicandosi.

E questo mondo produceva una strana musica,
come l'acqua corrente e il vento,
o come il grano che il vagliatore con movimento ritmico
gira e agita nel vaglio.

Le forme svanivano e non erano più che un sogno,
un abbozzo lento a venire
sulla tela dimenticata che l'artista completa
solamente con la memoria.

Dietro le rocce una cagna inquieta
ci guardava con occhio crucciato,
aspettando il momento per riprendere allo scheletro
il boccone che aveva lasciato.

− Eppure voi sarete simile a questa sozzura,
a quest'orribile infezione,
stella dei miei occhi, sole della mia natura,
voi, mio angelo e mia passione!

Sì! tale sarete, o regina delle grazie,
dopo gli ultimi sacramenti,
quando andrete sotto l'erba e i rigogliosi fiori,
a marcire tra le ossa.

Allora, o mia bellezza! dite ai vermi
che vi mangeranno di baci,
che ho conservato la forma e l'essenza divina
dei miei amori disfatti!

L'irreparabile
Possiamo soffocare il vecchio, il lungo Rimorso,
che vive, s'agita e si contorce,
e di noi si nutre come il verme dei morti,
come il bruco della quercia?
Possiamo soffocare l'implacabile Rimorso?

In quale filtro, in quale vino, in quale tisana,
affogheremo questo vecchio nemico,
distruttore e ingordo come la cortigiana,
paziente come la formica?
In quale filtro − in quale vino − in quale tisana?

Dillo, bella strega, oh! dillo, se lo sai,
a questo spirito carico d'angoscia
e pari al moribondo schiacciato dai feriti
che lo zoccolo del cavallo batte,
dillo, bella strega, oh! dillo, se lo sai, 

a questo agonizzante che già il lupo fiuta
e che il corvo sorveglia,
a questo soldato affranto! se deve disperare
d'avere la sua croce e la sua tomba;
questo povero agonizzante che già il lupo fiuta.

Si può illuminare un cielo melmoso e nero?
Si possono strappare delle tenebre
più dense della pece, senza mattina e senza sera,
senza stelle, senza lampi funerei?
Si può illuminare un cielo melmoso e nero?

La Speranza che brilla alle finestre dell'Albergo
è spenta, è morta per sempre!
Senza luna e senza raggi, trovare dove riparano
i martiri di un cammino maledetto! 
Il Diavolo ha spento tutto alle finestre dell'Albergo!

Adorabile strega, ami tu i dannati?
Dimmi, conosci l'irremissibile?
Conosci il Rimorso dai dardi avvelenati
cui il nostro cuore serve da bersaglio?
Adorabile strega, ami tu i dannati?

L'Irreparabile rode col suo dente maledetto
la nostra anima, pietoso monumento,
e spesso attacca, come la termite,
la struttura dal basamento.
L'Irreparabile rode col suo dente maledetto!

Ho visto a volte in fondo a un banale teatro
infiammato dal suono di un'orchestra,
una fata accendere in un cielo infernale
una miracolosa aurora;
ho visto a volte in fondo a un banale teatro

un essere tutto luce, oro e velo
abbattere il grande Satana;
ma il mio cuore, mai visitato dall'estasi,
è un teatro in cui si attende
sempre, sempre invano, l'Essere dalle ali di velo!

A una passante
Urlava attorno a me la strada assordante.
Alta, snella, in lutto stretto e maestoso dolore,
passava una donna, sollevando e dondolando
con mano sontuosa l'orlo festonato della gonna;

agile e nobile, con gamba da statua.
Io, teso come un folle, bevevo
nei suoi occhi, cielo livido dove nasce l'uragano,
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.

Un lampo... poi la notte! − Fugace bellezza 
il cui sguardo m'ha fatto improvvisamente rinascere,
non ti vedrò più che nell'eternità?

Altrove, lontano da qui! troppo tardi! forse mai!
Poiché io ignoro dove fuggi, tu non sai dove vado,
o tu che avrei amato, o tu che l'hai capito!

L'Albatro
Spesso, per divertirsi, gli uomini dell'equipaggio
prendono degli albatros, grandi uccelli dei mari,
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
la nave che scivola sopra gli abissi amari.

Non appena deposti sul ponte,
questi re dell'azzurro, timidi e goffi,
abbandonano miseramente le loro grandi ali bianche
come remi trascinati accanto a loro.

Com'è debole e goffo questo viaggiatore alato!
Esso, poco prima così bello, è comico e brutto!
L'uno gli stuzzica il becco con una pipa,
l'altro mima, zoppicando, l'infermo che volava!

Il poeta somiglia al principe delle nuvole
che abita la tempesta e se la ride dell'arciere;
esiliato sulla terra fra gli scherni,
le sue ali di gigante gli impediscono di camminare.

Elevazione
Al di sopra degli stagni, al di sopra sopra delle valli,
delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
al di là del sole, al di là dell'etere,
oltre i confini delle sfere stellate,

mio spirito, tu ti muovi con agilità,
e, come un buon nuotatore che s'abbandona nell'onda,
solchi gaiamente l'immensità profonda 
con indicibile e maschia voluttà.

Vola via lontano da questi morbosi miasmi;
va' a purificarti nell'aria superiore,
e bevi, come un puro e divino liquore,
il chiaro fuoco che riempie i limpidi spazi.

Alle spalle le noie e i grandi affanni
che caricano del loro peso l'esistenza brumosa,
beato chi può con ala vigorosa
slanciarsi verso i campi sereni e luminosi;

colui i cui pensieri, come allodole,
prendono liberamente il volo nei cieli del mattino,
− chi si libra sulla vita e comprende facilmente
il linguaggio dei fiori e delle cose mute!

Semper eadem
"Donde viene, dicevate, questa strana tristezza,
che sale come il mare sulla roccia nera e nuda?"
− Una volta che il nostro cuore ha fatto la sua vendemmia
vivere è un male. È un segreto noto a tutti.

Un dolore molto semplice e privo di mistero
e, come la vostra gioia, a tutti evidente.
Cessate dunque d'indagare, o bella curiosa!
E benché sia soave la vostra voce, tacete!

Tacete, ignorante! anima sempre lieta!
Bocca dal riso infantile! Ancor più che la Vita
la Morte spesso ci tiene con fili sottili.

Lasciate, lasciate il mio cuore inebriarsi d'una menzogna,
immergersi nei vostri begli occhi come in un bel sogno
e sonnecchiare lungamente all'ombra delle vostre ciglia!

Spleen
Quando il cielo plumbeo e basso grava come un coperchio 
sullo spirito gemente in preda a lunghi affanni,
e abbracciando l'intero cerchio dell'orizzonte 
versa in noi un giorno nero più triste della notte; 

quando la terra è mutata in un'umida prigione, 
dove la Speranza, come un pipistrello, 
va battendo contro i muri la sua timida ala 
e picchia la testa su soffitti marci; 

quando la pioggia spandendo le sue immense strisce 
imita le sbarre di un'enorme prigione, 
e un popolo muto d'infami ragni 
tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, 

delle campane all'improvviso sobbalzano con furia 
e lanciano verso il cielo un urlo spaventoso, 
come spiriti erranti e senza patria 
che si mettono a gemere ostinatamente. 

− E lunghi funebri cortei, senza tamburi né musica, 
sfilano lentamente nella mia anima; la Speranza,
vinta,  piange; e l'atroce Angoscia, dispotica, 
pianta sul mio cranio inclinato il suo nero vessillo.