Il fascino dell'Aforisma

Qui di seguito riportiamo alcuni brevi saggi sull'aforisma: il primo, L'aforisma, è dell'italianista e scrittore italiano Federico Roncoroni; il secondo saggio: L'aforisma: genere aristocratico, è di del critico letterario, scrittore e traduttore italiano Guido Almansi (1931- 2001); il terzo, L'aforisma come medicina dell'uomo, è dello scrittore e saggista italiano Giuseppe Pontiggia (1934-2003); il quarto e ultimo scritto, L'arte deteriore dell'aforisma, è un brano dello scrittore austriaco Thomas Bernhard (1931-1989) tratto dal libro Il soccombente (Der Untergeher, 1983), pubblicato in Italia dall'editore Adelphi nel 1999. In questo brano, la voce narrante fa riferimento a uno dei personaggi del romanzo, Wertheimer, che, nel suo ruolo di soccombente, considera anche la sua capacità di scrivere aforismi come "un'arte deteriore".

Foto di Federico Roncoroni
Il fascino e la forza dell'aforisma non si misurano dall'entusiasmo e dallo stupore suscitati
dal suo primo esplodere, ma dalle emozioni e dalle riflessioni
che produce nel silenzio che lo segue. (Federico Roncoroni)

L'aforisma
Federico Roncoroni, in Il libro degli aforismi © Mondadori, 1989

Nella famiglia dei generi letterari, l'aforisma è un parente molto stretto della massima, della sentenza, dell'adagio, del motto e, per certi rami, anche del più popolare proverbio, ma non coincide con nessuno di questi pur classici modelli. Quando è brutto, può scadere nella battuta da salotto, o, peggio ancora, nella moralità gratuita, peccando nel primo caso di pretesa e per lo più volgare comicità e macchiandosi nel secondo caso della non meno grave colpa di pretesa saggezza. Quando è bello, quando cioè si libra integro e compiuto nel suo difficile equilibrio di leggerezza e di gravità, è una festa di parole, un trionfo dell'intelligenza e un piacere dello spirito.
Che cos'è, dunque, l'aforisma e come funziona? L'aforisma o, come meglio dovrebbe essere chiamato, l'aforismo, è una frase che compendia in un breve giro di parole il risultato di precedenti riflessioni, osservazioni ed esperienze. Il suo nome deriva dal greco aphorismós e propriamente significa "definizione". Di fatto, della definizione l'aforisma ha sia la essenzialità perentoria sia la funzione, che è quella di delineare in modo chiaro e "definitivo" un concetto, una norma o una legge. Ma l'aforisma è anche qualcosa di più di una definizione, per quanto chiara ed essenziale. Quando è perfettamente riuscito, è un perfetto meccanismo espressivo che, in equilibrio tra eleganza e sostanza di pensiero, a metà strada tra il gioco di parole e la massima filosofica, aspira a divertire e a far riflettere: fa riflettere il lettore sulle cose piccole e grandi della vita, attirandolo con la brillante eleganza della scrittura. A farne quello che è, infatti, contribuiscono sia la forma sia il contenuto. Inscindibili per natura, nell'aforisma forma e contenuto sono fusi insieme in un rapporto tanto necessario quanto difficile da realizzare.
La struttura dell'aforisma, in effetti, è del tutto particolare: nella sua apparente semplicità, mira ad avere un massimo di densità concettuale in un minimo di brevità formale. In altre parole, pretende di conciliare cose inconciliabili: la ricchezza e la profondità del significato con la concisione del significante.
Non solo: l'aforisma deve anche conciliare particolare e generale, soggettività e universalità: deve prendere spunto dalla realtà di tutti i giorni e da qualcosa di personale e di individuale, ma deve poi assurgere a un valore generale se non addirittura universale: deve attirare l'attenzione perché parla di qualcosa che ci riguarda da vicino o che riguarda qualcuno che conosciamo bene, ma piace veramente, e dura nel tempo, solo quando riesce a trascendere il particolare e il personale e vale per tutti, ieri, oggi e per sempre.
Di più: oltre che conciliare profondità concettuale e concisione formale, particolare e generale, individuale e universale, deve essere attraente e seducente al primo incontro ma deve far durare il suo effetto ben oltre nel tempo: deve avere l'aria di essere facile, futile e piacevole, come una battuta di spirito, ma deve poi risultare ricco e profondo: chi lo legge o lo ascolta deve restare subito colpito e capirne subito il significato, ma poi deve anche rendersi conto che quella prima comprensione non l'ha chiarito del tutto e sotto la superficie della battuta di spirito ci sono una ricchezza e una pregnanza di significati, fatte di allusioni, sfumature e di interpretazioni possibili che non esauriscono l'aforisma in una semplice battuta o in un calembour, ma lo moltiplicano in una serie senza fine di riflessioni, intuizioni, scoperte e conquiste.
E questo spiega un altro requisito dell'aforisma: deve essere dilettevole e piacevole e nello stesso tempo utile. Intendiamoci: deve essere utile nello stesso senso in cui deve essere piacevole: perché stimola a riflettere e offre quel piacere del tutto intellettuale che prova chi si rende conto di essere in grado di smontare il delicato congegno dell'aforisma e di saper recuperare e ricostruire gli ampi spazi concettuali ‐ sentimentali, esistenziali, speculativi e morali ‐ che l'autore ha sintetizzato e concentrato in quel breve spazio.
Il fascino e la forza dell'aforisma, insomma, non si misurano dall'entusiasmo e dallo stupore suscitati dal suo primo esplodere, ma dalle emozioni e dalle riflessioni che produce nel silenzio che lo segue. Scettico o ironico, graffiante o scanzonato, serio o faceto, cinico o pietoso, irridente o tollerante, fustigatore o consolatorio, disperato o rasserenante, il vero aforisma nasce sempre da una profonda coscienza morale che, laica o religiosa, mondana o spirituale, borghese o aristocratica, nulla ha a che fare con il moralismo più o meno gretto e con il pedagogismo più o meno interessato, e dopo la prima deflagrazione che lo rende gradito ai più, non può non suscitare echi profondi nella coscienza morale di chi, laico o religioso, borghese o aristocratico, ama concedersi il gusto della meditazione e correre il rischio di fermarsi ogni tanto a pensare.

Foto di Guido Almansi
L’aforisma, genere aristocratico che asserisce e non suggerisce, afferma e non spiega,
ha la virtù suprema dell’aristocrazia: non teme di sbagliare. (Guido Almansi)

L'aforisma: genere aristocratico
Guido Almansi, in Il filosofo portatile © TEA, 1991

Nel Dizionario del Diavolo Ambrose Bierce, grande macinatore di aforismi, definisce l'aforisma "saggezza predigerita", in sé medesimo volgendosi co' denti. Che cosa distingue l’aforisma dall'epigramma o dalla massima? L’epigramma ha un bersaglio localizzato, nello spazio e nel tempo; l’aforisma tende all'universalità. La massima intende essere l’espressione di una saggezza conformista, mentre l’aforisma vorrebbe essere trasgressivo. Questa tendenza ad esprimere una verità valida sempre e ovunque significa peccare di generalizzazione; e quando si generalizza, si sbaglia.
Ecco, direi che l’aforisma, genere aristocratico che asserisce e non suggerisce, afferma e non spiega, ha la virtù suprema dell’aristocrazia: non teme di sbagliare. Anzi, sbaglia sempre: si avvicina a una verità assoluta e poi la falsa per eccesso di arroganza e di perentorietà; ma in questo sta la sua grandezza. Non può esistere un facitore di aforismi timido, o timoroso, o preoccupato della verità.
L’aforisma chiude tutto nel circuito del suo svolazzo logico o verbale; e tanto peggio per la meschina verità se qualche cosa viene lasciata fuori. Si prendano alcuni aforismi supremi, dei grandi maestri del genere. "L'impotenza di Dio è infinita", Anatole France: non è vero, ma è necessario, perché la mia conoscenza teologica è profondamente arricchita da questo paradosso. "Ciò che è irritante circa l'amore è che si tratta di un crimine in cui abbiamo bisogno di un complice", Charles Baudelaire: si tratta di una paurosa generalizzazione, ma pensate a quanto sarebbe impoverito il pensiero contemporaneo se Baudelaire − in questo grande aristocratico del pensiero, come Nietzsche e come altri suoi contemporanei − non avesse osato dirla, questa sublime impertinenza.
Ma forse non c'è mai niente di nuovo in un aforisma, se non la disposizione delle parole, la morsa serrata della sintassi che trasforma una banalità in una illuminazione. "Tutto è stato detto prima, ma siccome nessuno ascolta, dobbiamo ritornare indietro e ricominciare", André Gide. Un grande aforisma deve dire il già noto in modo ignoto e sorprendere.
La verità o l'efficacia di un aforisma è, quasi sempre, un'illusione, perché troppi elementi sono in gioco e contribuiscono alla sua memorabilità. La paradossalità del concetto, che rovescia, o sembra rovesciare, o finge di rovesciare, pregiudizi universalmente confermati, specialmente nel campo dell'etica, è un irresistibile elemento di attrazione: come la vespa s'attacca al miele, così noi all'aforisma crudele.
Poi c'è la brevità, la concentrazione fulminante, il massimo effetto dirompente con il minimo numero di parole: l'aforisma breve ci apparirà sempre più convincente di quello più lungo, non per una maggiore ragionevolezza ma per la sua maggiore icasticità.
Questa è l'area in cui l'aforisma si avvicina di più alla forza persuasiva dello slogan, che è quasi sempre stupido: falce e martello, panem et circenses, lava più bianco. Essere brevi significa in genere pervenire a un grado compattissimo di mendacità: si possono dire più bugie in poche sillabe che in tutto un trattato di sociologia.

L'aforisma come medicina dell'uomo
Giuseppe Pontiggia, in Gino Ruozzi, Scrittori italiani di aforismi © Mondadori, 1994

La radice della parola aforisma è la stessa di orizzonte. Il verbo greco horízo significa delimitare. Orizzonte è all'origine il cerchio che si apre allo sguardo. Francesco da Buti, commentatore trecentesco di Dante, ci offre una definizione più precisa: "L'orizzonte è circulo terminativo de la nostra vista". Non meno preciso è il Tasso nel "Mondo creato"; "Quel che terminò l'umana vista / ne i tenebrosi e lucidi confini / orizonte fu detto". Leopardi introduce nell'Infinito una siepe che "da tanta parte / dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Qui il limite ultimo viene cancellato da un limite più vicino, così che si aprono al pensiero interminati spazi e sovrumani silenzi e profondissima quiete. L'orizzonte diventa quello che non sarà mai, illimitato, il contrario di ciò che significa horízo. Perché l'orizzonte della siepe dilata all'infinito l'orizzonte interiore: "e il naufragar m'è dolce in questo mare". L'orizzonte della poesia comincia dove finisce quello dell'aforisma, in cui sguardo e limite, centro e circonferenza sono sempre in rapporto. Hóros greco corrisponde al latino finis, confine. In comune non solo il significato del nome, ma l'azione del verbo che ne deriva, ossia definire, porre i confini. Conoscere come separare, dividere. Sempre atti fisici, esperienze sensoriali, che diventano operazioni della mente. Anche circo-scrivere, scrivere intorno. Ma il prefisso di definire, come di delimitare, è un altro, non è solo un rafforzativo, contiene, come il greco apó, l'idea di provenienza.

Foto di Thomas Bernhard
Io scrivo aforismi... è un'arte deteriore tipica di quelli che intellettualmente
hanno il fiato corto. (Thomas Bernhard)

L'arte deteriore dell'aforisma
Thomas Bernhard, in Il soccombente (Der Untergeher, 1983) © Adelphi, 1999

Era uno che scriveva aforismi, esistono di lui innumerevoli aforismi, pensai, ma c'è da supporre che li abbia distrutti, io scrivo aforismi, diceva di continuo, pensai, è un'arte deteriore tipica di quelli che intellettualmente hanno il fiato corto, della quale hanno vissuto e vivono un certo numero di persone soprattutto in Francia, si tratta dei cosiddetti filosofi di mezza tacca che scrivono per i comodini da notte delle infermiere, potrei anche chiamarli filosofi da almanacco, gente che scrive cose che vanno bene per tutti e le cui massime, con l'andar del tempo, troveremo affisse alle pareti di ogni sala d'aspetto dei nostri medici. 
I cosiddetti aforismi negativi sono altrettanto repellenti dei cosiddetti aforismi positivi. Eppure non sono riuscito a togliermi questa abitudine di scrivere aforismi, in verità temo proprio di averne ormai scritti a milioni, così diceva, pensai, e faccio bene a procedere alla loro distruzione, perché non intendo veder un giorno tappezzate coi miei aforismi, come con Goethe, Lichtenberg e compagni, le pareti delle camere d'ospedale o delle sacrestie, così diceva, pensai. 
Siccome non sono nato per essere filosofo, mi sono trasformato, devo dire non del tutto inconsapevolmente, in un autore di aforismi, in uno di quei repellenti compagni di strada dei filosofi come ce n'è a migliaia, così diceva, pensai. Si tratta di imbrogliare l'umanità intera con piccolissime trovate che mirano a effetti grandiosi, così diceva, pensai. In sostanza non sono altro che un pericolo pubblico, uno di quegli autori di aforismi che nella loro sconfinata impudenza e inguaribile sfacciataggine si confondono tra i filosofi come i cervi volanti tra i cervi, così diceva, pensai. 
Se smettiamo di bere moriamo di sete, se smettiamo di mangiare moriamo di fame, diceva, da sentenze di tal fatta hanno origine tutti gli aforismi, può averli scritti perfino Novalis, anche Novalis ha detto un mucchio di sciocchezze, così lui, pensai. Nel deserto aneliamo all'acqua, suonano all'incirca le massime di Pascal, così lui, pensai. A essere esatti, dei più grandi progetti filosofici quello che rimane a noi non è altro che un misero retrogusto aforistico, così diceva, pensai, quale che sia la filosofia e chiunque sia il filosofo di cui ci stiamo occupando, tutto si riduce in briciole quando li affrontiamo con tutte le facoltà di cui siamo dotati, ossia con tutti i nostri strumenti intellettuali, così diceva, pensai.

Note
Leggi anche: Critica dell'aforismaAforismi sull'aforismaAforismi sugli aforisti

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