Aforismi, frasi e citazioni di Knut Hamsun

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Knut Hamsun, pseudonimo di Knut Pedersen (Vågå 1859 - Nørholm 1952), scrittore norvegese, Premio Nobel per la letteratura nel 1920.
Sullo stile letterario di Knut Hamsun ha scritto Thomas Mann: "Lottai per la definizione critica di tutte le bellezze, le scaltrezze tecniche, le intensità poetiche e le intime commozioni che costituiscono il mistero, l'amabilissimo incanto dell'arte sua: un'arte che mescola un'estrema raffinatezza a una semplicità epica primordiale e che serba aristocraticamente in sé, pur nella sua civiltà consumata, la tradizione culturale della sua razza, i più antichi elementi della poesia popolare nordica, lo spirito dei canto e della saga".
Le seguenti citazioni di Knut Hamsun sono tratte da alcuni dei suoi libri più noti, come: Fame (1890), Pan (1904), Il risveglio della terra (1917), Vagabondi (1927).
Un caso che finisca bene è provvidenza,
un caso che termini male è destino. (Knut Hamsun)
Fame
Sult, 1890

Avevo una fame atroce. Avevo tanta fame che non sapevo dove battere la testa. Mi torcevo sulla panchina e premevo le ginocchia contro il petto. Quando fu buio mi trascinai fino al Municipio. Dio solo sa come vi potei giungere. Là sedetti sulla ringhiera della scalinata. Mi strappai una tasca dalla giacca, me la ficcai in bocca e mi misi a masticare...

In fondo avevo un'anima piuttosto sensibile, osservai, e non per questo era necessario che fossi pazzo. Ci sono certe nature che si addolorano per delle sciocchezze e possono morire per una parola aspra.

Il povero intelligente è un osservatore assai più sottile che non il ricco intelligente. A ogni passo che fa, il povero si guarda intorno e tende l'orecchio diffidente a tutte le parole di coloro che incontra. Ogni suo passo presenta, per così dire, un compito, una fatica ai suoi pensieri e sentimenti. Egli ha l'udito acuto e sensibile, è esperto e ha l'anima segnata di cicatrici.

Quella sazia tranquillità che si prova dopo un gran piangere.

Di che cosa soffrivo? Il buon Dio aveva forse puntato il dito contro di me? Perché proprio contro di me? Perché non contro un uomo nell'America del Sud? Perché non contro di lui? A ripensarci capivo sempre meno perché proprio io dovessi essere scelto a far da cavia per la grazia capricciosa di Dio. Certo era un modo di procedere piuttosto strano: scavalcare tutto un mondo per acciuffare me.

Ero seduto là sulla panchina e pensavo a tutto ciò e diventavo sempre più duro verso Dio per le sue costanti angherie. Se credeva di attirarmi a sé più vicino e di rendermi migliore col farmi soffrire e mettendo ostacoli su ostacoli sulla mia via si sbagliava un pochino, poteva esserne sicuro.

Lassù nel cielo c'era Dio che mi guardava attentamente badando che la mia rovina avvenisse a regola d'arte, lenta ma sicura, a passo regolare. Laggiù in fondo invece, nell'abisso infernale, i diavoli malvagi sbuffavano dalla rabbia perché ci voleva tanto tempo prima di farmi cadere in peccato mortale, in un peccato imperdonabile per cui Dio nella sua giustizia dovesse spedirmi all'inferno...

I tanti rifiuti, le promesse dette a mezza voce, i tanti no, le speranze illusorie di cui m'ero per tanto tempo nutrito, i nuovi tentativi, che ogni volta si dimostravano vani, avevano fiaccato il mio coraggio.

Che sciagura, che tristezza essere così poveri! Quale umiliazione, quale vergogna! E pensai di nuovo all'ultimo scellino d'una povera vedova che avrei rubato, al berretto d'uno scolaro o al suo fazzoletto, al tascapane di un mendicante che senza tanti complimenti avrei portato dal rigattiere mangiandomi poi il ricavato.

Se non c’è speranza, non c’è speranza e tanto basta.

Intorno a me covava sempre la stessa oscurità, quella stessa eternità nera e imperscrutabile, contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. Con che cosa potevo paragonarla? Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande per definire quel buio, una parola così crudelmente nera da annerire la mia bocca quando l'avessi pronunciata.

Scrivo come invasato e riempio una pagina dopo l'altra senza un momento di pausa. I pensieri si formano così improvvisi dentro di me e continuano a scorrere così abbondanti che dimentico una quantità di particolari e non riesco a scrivere con sufficiente rapidità sebbene lavori con tutte le forze. Continuano a venirmi in mente immagini, sono pieno del mio soggetto e ogni parola che scrivo mi viene proprio messa sulle labbra.

Misteri
Mysterier, 1892

Un grande poeta è un uomo che non ha vergogna.

Victoria
Victoria, 1898

L'amore è diventato l'origine e il dominatore del mondo, eppure il suo percorso è disseminato di fiori e sangue, fiori e sangue. 

Pan
Pan, 1904

"Amo tre cose", [...]. "Amo il sogno d'amore di un tempo, amo te e amo quest'angolo di terra." "E cosa ami di più?" "Il sogno."

Il proprio intimo è per ognuno la fonte della tristezza o della gioia.

Può piovere e tempestare, non è questo che importa: spesso una piccola gioia può impadronirsi d'un uomo in un giorno di pioggia e sospingerlo via con la sua felicità.

La gioia inebria.

Il sussurro monotono e i noti alberi e i sassi sono troppo per me, una strana gratitudine mi pervade, ogni cosa ha rapporto con me, ogni cosa si mescola con me, io amo ogni cosa.

Raccatto un ramoscello secco e lo tengo in mano e lo guardo, mentre me ne sto seduto e penso ai fatti miei; il rametto è quasi marcito, la sua misera corteccia mi fa impressione, un senso di pietà mi attraversa il cuore. E quando mi alzo e mi incammino, non butto via lontano il rametto, ma lo poso per terra e mi fermo e me ne compiaccio; infine, prima di lasciarlo, lo guardo un'ultima volta con gli occhi umidi.

Qualche volta provo una nostalgia di luoghi che io stessa ignoro.

Un vagabondo suona in sordina
En Vandrer spiller med Sordin, 1909

Non è facile distinguere chi è pazzo e chi no. Dio ci protegga dall'essere smascherati!

Il risveglio della terra
Markens Grøde, 1917

Il lungo, lunghissimo sentiero fra gli acquitrini e le foreste, chi l'ha tracciato, se non l'uomo?

L'amore turba anche i più saggi.

La patata è un vegetale senza paragoni, che resiste alla siccità come all'umidità e cresce ugualmente; che sfida le intemperie e ripaga al decuplo le poche cure che l'uomo le concede. La patata non ha il sangue dell'uva, ma possiede la carne della castagna; si può cuocerla sotto la cenere, o nell'acqua bollente, o friggerla. Chi ha la patata può far a meno del pane.

Vagabondi
Landstrykere, 1927

Un caso che finisca bene è Provvidenza, un caso che termini male è destino.

Libro di Knut Hamsun consigliato
Fame 
Traduttore Ervino Pocar 
Editore Adelphi, 2002 

Il grande choc che la letteratura nordica procurò all'Europa di fine Ottocento è legato a due romanzi: Inferno di Strindberg e Fame di Knut Hamsun. Ed è uno choc la cui violenza il lettore sentirà ancora oggi. Un giovane scrittore, nei cui tratti e nelle cui esperienze si riconosce facilmente lo stesso Hamsun, passa un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni nella città di Christiania, tentando di sopravvivere con sporadiche collaborazioni giornalistiche, in attesa di manifestare il suo genio letterario. Vari personaggi lo sfiorano e scompaiono, ma unica vera e costante compagna, inesorabile antagonista, è la fame, presenza ossessiva che riesce a trasformare le apparenze del mondo come una potentissima droga, producendo una continua oscillazione fra atroci depressioni e morbose euforie.

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