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Kōan Zen - Storielle illuminanti

Raccolta dei Kōan Zen più belli e significativi. I Kōan sono dei racconti brevi e delle storielle di saggezza orientale, mediante i quali i maestri Zen, con poche e sorprendenti parole, illuminano la mente e l'animo di coloro che, alla ricerca di un equilibrio interiore, desiderano avvicinarsi alla disciplina Zen. Spesso i Kōan Zen contengono degli enigmi o delle affermazioni paradossali mediante i quali il maestro provoca e spiazza la mente razionale del discepolo per avvicinarlo all'intuizione della realtà assoluta. I Kōan sono impiegati anche per far comprendere agli allievi che l'illuminazione non si raggiunge soltanto con l'intelletto e che ogni ragionamento è inutile per la comprensione della verità. Scrive Fritjof Capra: 
"I buddhisti Zen hanno una particolare abilità nel trarre vantaggio dalle incoerenze che sorgono nella comunicazione verbale e con il sistema dei koan hanno escogitato una via unica per trasmettere il loro insegnamento in modo totalmente non verbale. I koan sono problemi oscuri e assurdi, inventati e costruiti con cura appositamente per indurre il discepolo Zen a rendersi conto nel modo più drammatico dei limiti della logica e del ragionamento. La forma irrazionale della enunciazione e il contenuto paradossale di questi problemi rendono impossibile la loro soluzione con il ragionamento. Essi sono concepiti proprio allo scopo di sospendere il processo del pensiero e di rendere quindi il discepolo pronto per l'esperienza non verbale della realtà. [Il Tao della fisica, 1975].
Se sei interessato alla filosofia Zen, su Aforismario trovi anche: frasi sullo Zen, meditazioni Zen di grandi maestri e detti Zen. [I link sono in fondo alla pagina].
− Che cos'è lo Zen? − Si mangia quando si ha fame, si beve quando si ha sete.
La risata Zen
Un giorno Buddha annunciò che avrebbe tenuto un discorso speciale, e migliaia di discepoli giunsero da ogni dove. Quando Buddha comparve, teneva in mano un fiore. Il tempo passava, ma Buddha non diceva nulla. Si limitava a guardare il fiore. La folla divenne impaziente, ma Mahakashyapa, che non riuscì più a trattenersi, rise sonoramente. Buddha gli disse di farsi avanti, gli porse il fiore, e disse alla folla: "Io possiedo l'occhio del vero insegnamento. Tutto ciò che ho potuto dare tramite le parole l'ho dato a voi tutti; ma con questo fiore, do a Mahakashyapa la chiave di questo insegnamento".

Nessun merito
Secondo la tradizione, fu il monaco indiano Bodhidharma a portare nel V secolo dell'era corrente il Buddhismo in Cina, là dove, mescolandosi con il Taoismo e con altre tradizioni, avrebbe dato origine allo Zen (Ch'an). A poco a poco, la fama di Bodhidharma si diffuse in Cina. Un giorno l'imperatore Wu, attratto dal Buddhismo, lo mandò a chiamare e gli domandò:
"Ho fatto costruire templi, ho fatto tradurre le sacre scritture, ho sovvenzionato i monaci: quali meriti ho ottenuto?".
"Nessun merito" gli rispose il Bodhidharma.
"Perché mai?" replicò contrariato l'imperatore, che riteneva di aver ormai acquisito un buon posto in cielo o una favorevole rinascita.
"Perché in tutte queste opere non c'è nessun merito religioso".
"In che cosa consiste, allora, il merito religioso?"
"Nella comprensione della vera natura delle cose".
L'imperatore non capiva. "Qual è il principio di questa sacra dottrina?" domandò ancora.
"Che non c'è nessun sacro principio".
Sempre più perplesso, Wu chiese: "Ma chi è che mi parla così?"
"Come posso dirlo, maestà?" disse Bodhidharma.

Una definizione dello Zen
Fu chiesto una volta a Bodhidharma di dare una definizione dello Zen. Ed egli, contravvenendo allo spirito stesso del suo insegnamento, rispose così:
"È una trasmissione speciale al di fuori delle scritture, è indipendente da parole e da lettere, punta direttamente allo spirito dell'uomo, è un contemplare la propria natura".
− Che cos'è lo Zen? − È la vita di tutti i giorni. (Kōan Zen)
Lo Zen e la vita di tutti i giorni
Un monaco domandò al maestro Nan-ch'uan:
"Che cos'è lo Zen?"
"È la vita di tutti i giorni."
"E come ci si avvicina a esso?"
"Più cerchi di avvicinarti, più te ne allontani."

Lo Zen e la consapevolezza quotidiana
"Che cos'è lo Zen?" fu chiesto a un maestro.
E lui rispose: "Si mangia quando si ha fame, si beve quando si ha sete, ci si copre quando fa freddo e ci si sventola quando fa caldo".

Lava la tua ciotola
Un novizio, appena entrato nel monastero, domandò al maestro Chao-chou:
"Ti prego, spiegami che cosa devo fare per raggiungere l'illuminazione".
"Hai mangiato la tua zuppa?".
"Sì".
"Allora, lava la ciotola".

Illuminazione e pratica spirituale
Qualcuno chiese a Bokoju, un Maestro Zen: “Dopo la tua illuminazione, qual è stata la tua pratica spirituale?”
Bokoju rispose: “Taglio la legna nella foresta, attingo l’acqua dal pozzo. Quando ho fame, mangio. Quando ho sonno, dormo: null'altro”.

Illuminazione al mercato
Banzan, prima di diventare un grande maestro Zen, trascorse molti anni alla ricerca dell'illuminazione, ma gli sfuggiva. Poi un giorno, mentre passeggiava al mercato, udì per caso una conversazione tra un macellaio e un suo cliente. «Mi dia il pezzo di carne migliore che ha», disse il cliente. E il macellaio rispose: «Ogni pezzo di carne che ho è il migliore. Non vi è pezzo di carne che non sia il migliore». Udendo questo, Banzan raggiunse l'illuminazione.

Azioni meritorie
Un giorno Chao-chou trovò un discepolo inchinato davanti ad una statua del Buddha e lo colpì con un bastone.
Il monaco protestò: "Non è un atto meritorio adorare il Buddha?".
"Sì", rispose il maestro "ma è ancora più meritorio lasciar perdere gli atti meritori".

La cosa più preziosa
Uno studente domandò a Sozan, un maestro cinese di Zen:
 "Qual è la cosa più preziosa del mondo?".
Il maestro disse: "La testa di un gatto morto".
"E perché la testa d'un gatto morto è la cosa più preziosa del mondo?" insistette lo studente.
Sozan rispose: "Perché nessuno può dirne il prezzo".

Liberazione
Un giorno al maestro Seng-ts'an si presentò un giovane che dichiarò: "Vengo da te perché cerco la liberazione".
"Chi ti ha incatenato?" gli domandò il maestro.
"Nessuno".
"Allora, sei già libero".

Senza parole
Un sacerdote incontrò un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domandò: "Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos'è la realtà?".
Il maestro gli diede un pugno in faccia.

Una tazza di tè
Un filosofo si recò un giorno da un maestro zen e gli disse:
"Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi e i suoi scopi".
"Posso offrirti una tazza di tè?" gli domandò il maestro. E incominciò a versare il tè da una teiera. Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
"Ma cosa fai?" sbottò il filosofo. "Non vedi che la tazza è piena?".
"Come questa tazza" disse il maestro "anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché le si possa versare dentro qualcos'altro. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?".

Lo zen in ogni istante
Gli studenti di Zen stanno coi loro maestri almeno dieci anni prima di presumere di poter insegnare a loro volta. Nan-in ricevette la visita di Tenno, che dopo aver fatto il consueto tirocinio era diventato insegnante. Era un giorno piovoso, perciò Tenno portava zoccoli di legno e aveva con sé l'ombrello.
Dopo averlo salutato, Nan-in disse: "Immagino che tu abbia lasciato gli zoccoli nell'anticamera. Vorrei sapere se hai messo l'ombrello alla destra o alla sinistra degli zoccoli".
Tenno, sconcertato, non seppe rispondere subito. Si rese conto che non sapeva portare con sé il suo Zen in ogni istante. Diventò allievo di Nan-in e studiò ancora sei anni per perfezionare il suo Zen di ogni istante.

Silenzio assoluto
In un piccolo tempio sperduto su una montagna, quattro monaci erano in meditazione. Avevano deciso di fare una sesshin di assoluto silenzio. La prima sera la candela si spense e la stanza piombò in una profonda oscurità.
Sussurrò un monaco: "Si è spenta la candela!".
Il secondo rispose: "Non devi parlare, è una sesshin di silenzio totale".
Il terzo aggiunse: "Perché parlate? Dobbiamo tacere, rimanere in perfetto silenzio!".
Il quarto, il responsabile della sesshin, concluse: "Siete tutti stolti, solo io non ho parlato!".

Il desiderio
Una volta, due monaci, Tanzan e Ekido, stavano attraversando un torrente, quando scorsero una bella ragazza in kimono e sciarpa di seta che cercava, senza riuscirci, di fare altrettanto.
Tanzan, senza pensarci, la prese in braccio e la portò dall'altra parte. Ekido non disse nulla finché quella sera non ebbero raggiunto un tempio dove passare la notte. Allora non poté più trattenersi.
"Noi monaci non avviciniamo le donne" disse a Tanzan "e meno che meno quelle giovani e carine. È pericoloso. Perché l'hai fatto?". Lo rimproverò.
"Io quella ragazza l'ho lasciata laggiù sulla riva" disse Tanzan "Tu invece la stai ancora portando con te?".

La brocca
Il maestro Pai-chang voleva scegliere un monaco cui affidare l'incarico di aprire un nuovo monastero. Convocò i suoi discepoli, pose una brocca sul pavimento e disse loro: "Sceglierò chi saprà descrivere questa brocca senza nominarla".
"È un vaso di forma rotondeggiante, con un manico e un becco" rispose il più colto dei suoi allievi.
"È un recipiente di colore grigio e serve per contenere acqua o altri liquidi" disse un altro.
"Non è uno zoccolo" intervenne un terzo più spiritosamente.
Gli altri monaci non dissero nulla, perché erano convinti di non poter escogitare definizioni migliori.
"Non c'è nessun altro?" domandò il maestro.
Allora si alzò Kuei-shan, che nel monastero era un semplice inserviente. Egli prese la brocca in mano e la mostrò a tutti senza dire nulla. Pai-chang dichiarò: "Kuei-shan sarà l'abate del nuovo monastero".

La statua del Buddha
Un maestro zen si era fermato, durante un viaggio, in un tempio. Poiché faceva freddo, per non morire congelato, aveva preso una statua di legno del Buddha e le aveva dato fuoco. Il sacerdote del tempio, vedendo le fiamme, si era svegliato ed era accorso: credeva che si trattasse di un incendio. Quando vide quel che succedeva, fu sconvolto dal sacrilegio.
"Che cosa hai fatto?" gridò, "Hai bruciato il corpo del Buddha!".
Il maestro prese un bastone e si mise a frugare tra le ceneri.
"E ora che cosa fai?" gli domandò il sacerdote.
"Cerco le ossa del Buddha".
"Quali ossa? Non vedi che è una statua di legno?".
"Allora, per favore, portami un altro Buddha da bruciare".

Ah sì?
Il maestro Zen Hakuin era decantato dai vicini per la purezza della sua vita. Accanto a lui abitava una bella ragazza giapponese, i cui genitori avevano un negozio di alimentari. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, i genitori scoprirono che era incinta. La cosa mandò i genitori su tutte le furie. La ragazza non voleva confessare chi fosse l’uomo, ma quando non ne poté più di tutte quelle insistenze, finì col dire che era stato Hakuin. I genitori furibondi andarono dal maestro, lo insultarono e gli imposero di mantenere la ragazza e il bambino. "Ah sì?" disse lui come tutta risposta. Quando il bambino nacque, lo portarono da Hakuin. Ormai si era perso la reputazione, cosa che lo lasciava indifferente, ma si occupò del bambino e della giovane con grande sollecitudine. Si procurava dai vicini il latte e tutto quello che occorreva al piccolo. Si mise inoltre a intrecciare un maggior numero di stuoie per poter mantenere i due nuovi venuti. Dopo un anno la giovane − annoiata di vivere con Hakuin − non resistette più, si pentì e disse ai genitori la verità: il vero padre del bambino era un giovanotto che lavorava al mercato del pesce. La madre e il padre della ragazza, cosi come anche i vicini, andarono subito da Hakuin a chiedergli perdono, a fargli tutte le loro scuse e a riprendersi il bambino e la giovane. Hakuin non fece obiezioni. Nel cedere il bambino, tutto quello che disse fu: "Ah sì?".

Gratitudine
Un ricco mercante fece dono ad un maestro di un'ingente quantità di monete d'oro per la costruzione di un nuovo monastero. Il maestro accettò senza dimostrare né entusiasmo né gratitudine. Seccato, il mercante gli disse: "Potresti almeno ringraziarmi!".
"E perché dovrei?", gli rispose il maestro, "è chi dona che dovrebbe essere grato".

Il dito e la luna
Una sera di plenilunio, il maestro Pai-chang chiamò i suoi allievi e disse loro: "Chi ha capito l'insegnamento Zen dev'essere in grado di spiegare che cos'è la luna senza nominarla".
Uno dei discepoli pensò: "Questa volta non posso sbagliare". Sollevò il braccio e con il dito indicò la luna.
Pai-chang gli afferrò il dito e glielo torse. "E adesso dov'è la luna?" domandò.
Il monaco si risvegliò.

Un fiore
Un giorno il Buddha si presentò davanti all'assemblea dei monaci. Tutti si aspettavano che egli tenesse uno dei suoi abituali sermoni per illustrare la dottrina, il dharma. Ma il maestro, quella volta, non disse nulla.
A un certo punto, sempre senza pronunciare parola, sollevò con una mano un fiore. I monaci restarono in attesa che dicesse qualcosa; egli però se ne stava immobile e silenzioso con quel fiore in mano, e osservava i loro volti.
All'improvviso il suo sguardo si fermò su Kasyapa. Kasyapa sorrise. Anche il Buddha sorrise.

Il rospo e il millepiedi
Un millepiedi viveva sereno e tranquillo. Finché un rospo un giorno non disse per scherzo: "In che ordine metti i piedi l'uno dietro l'altro?".
Il millepiedi incominciò a lambiccarsi il cervello e a fare innumerevoli prove. Il risultato fu che da quel momento non riuscì più a muoversi.

La tazza rotta
Ikkyu, il maestro Zen, era molto intelligente anche da bambino. Il suo insegnante aveva una preziosa tazza da tè, un oggetto antico e raro. Sfortunatamente Ikkyu ruppe questa tazza e ne fu molto imbarazzato. Sentendo i passi dell'insegnante, nascose i cocci della tazza dietro la schiena. Quando comparve il maestro, Ikkyu gli domandò: "Perché la gente deve morire?". "Questo è naturale" spiegò il vecchio. "Ogni cosa deve morire e deve vivere per il tempo che le è destinato." Ikkyu, mostrando la tazza rotta, disse: "Per la tua tazza era venuto il tempo di morire".

La tigre e la fragola
Un uomo che camminava per un campo si imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l'orlo. La tigre lo fiutava dall'alto. Tremando, l'uomo guardò giù, dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L'uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la fragola. Com'era dolce!

Nelle mani del destino
Un grande guerriero giapponese che si chiamava Nobunaga decise di attaccare il nemico sebbene il suo esercito fosse numericamente soltanto un decimo di quello avversario. Lui sapeva che avrebbe vinto, ma i suoi soldati erano dubbiosi. Durante la marcia si fermò a un tempio shintoista e disse ai suoi uomini: «Dopo aver visitato il tempio butterò una moneta. Se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del destino». Nobunaga entrò nel tempio e pregò in silenzio. Uscì e gettò una moneta. Venne testa. I suoi soldati erano così impazienti di battersi che vinsero la battaglia senza difficoltà. «Nessuno può cambiare il destino» disse a Nobunaga il suo aiutante dopo la battaglia. «No davvero» disse Nobunaga, mostrandogli una moneta che aveva testa su tutt’e due le facce.

La meditazione e la tegola
Mentre il reverendo Ma stava seduto in meditazione, il reverendo Huairang prese una tegola e sedette su una roccia di fronte a lui, strofinandola. Il maestro Ma chiese: "Che cosa stai facendo?" Huairang rispose: "Sto lucidando la tegola per farne uno specchio!" Il maestro Ma ribatté "Come puoi ottenere uno specchio strofinando una tegola" Huairang rispose allora: "Se non posso ottenere uno specchio strofinando una tegola, come puoi tu otteneere la natura di Buddha seduto in meditazione?"

L'arco teso
Una volta un imperatore cinese si recò da un grande Maestro Zen. Il Maestro Zen si stava rotolando per terra e rideva, anche i suoi discepoli ridevano: doveva aver raccontato una barzelletta. L'imperatore si trovò in imbarazzo. Non riusciva a credere ai suoi occhi, a capire perché si comportassero in modo così poco educato.
Non poté non dire qualcosa, rimproverò il Maestro: "Questo comportamento è increscioso! Non ce lo si aspetta da un uomo come voi, ci vuole un po' di decoro: vi state rotolando per terra ridendo come un matto?".
Il Maestro guardò l'imperatore, che portava un arco. All'epoca gli imperatori erano guerrieri, e avevano con sé archi e frecce. Il Maestro chiese: "Ditemi una cosa, Maestà. Tenete sempre teso il vostro arco, o qualche volta lo allentate?".
L'imperatore rispose: "Se lo tenessi sempre teso perderebbe elasticità e non servirebbe a nulla. Bisogna lasciarlo allentato, in modo che sia flessibile quando occorre".
E il Maestro allora concluse: "È quello che sto facendo".

La pace della mente
Un monaco chiese a Bodhidharma: "Non ho la pace della mente. Ti prego rasserena la mia mente".
"Portami la tua mente qui, dinanzi a me" replicò Bodhidharma "e io la pacificherò".
"Ma quando cerco la mia mente" disse il monaco "non riesco a trovarla".
"Ecco!" gridò allora Bodhidharma. "Ho pacificato la tua mente".

Il disegno del Granchio
Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c'era l'abilità del disegno. Il re gli chiese il disegno d'un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni e d'una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. "Ho bisogno di altri cinque anni" disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto.

La partita a scacchi
Un giovane si presentò a un maestro zen e gli disse: "Vorrei raggiungere la liberazione dalla sofferenza promessa dal Buddha. Ma non sono capace di lunghi sforzi e non sono in grado di meditare. Esiste una via che posso seguire?"
"Che cosa sai fare?" gli domandò il maestro.
"Niente."
"Ma c'è qualcosa che ti piace fare?"
"Giocare a scacchi."
Il maestro fece portare una scacchiera e una spada. Poi chiamò un giovane monaco e disse: "Chi di voi due vincerà questa partita a scacchi raggiungerà la liberazione. Chi perderà sarà ucciso con questa spada. Accettate?".
I due giovani acconsentirono e incominciarono a giocare. Sapendo che era una questione di vita o di morte, si concentrarono come non avevano mai fatto. A un certo punto il primo giovane si trovò in vantaggio e pensò che la vittoria era sicura. Guardò il suo avversario e si accorse che il maestro aveva sollevato la spada sulla sua testa. Allora ne ebbe compassione e compì un errore deliberato. Ora era lui che stava per perdere. Vide che il maestro aveva spostato la spada sulla sua testa... e chiuse gli occhi. La spada si abbatté sulla scacchiera.
"Non c'è né vincitore né vinto" proclamò il maestro "e quindi non taglierò la testa a nessuno". Poi aggiunse rivolto al primo giovane: "Due sole cose sono necessarie: la concentrazione e la compassione. E tu le hai sperimentate entrambe. Questa è la via che cerchi".

Inferno e paradiso
Un soldato che si chiamava Nobushige andò da Hakuin e gli domandò: "C'è davvero un paradiso e un inferno?".
"Chi sei?" volle sapere Hakuin.
"Sono un samurai" rispose il guerriero.
"Tu un soldato!" rispose Hakuin. "Quale governante ti vorrebbe come sua guardia? Hai una faccia da accattone!".
Nobushige montò così in collera che fece per sguainare la spada, ma Hakuin continuò: "Sicché hai una spada! Come niente la tua arma è troppo smussata per tagliarmi la testa".
Mentre Nobushige sguainava la spada, Hakuin osservò: "Qui si aprono le porte dell'inferno! ".
A queste parole il samurai, comprendendo l'insegnamento del maestro, rimise la spada nel fodero e fece un inchino.
"Ora si aprono le porte dei paradiso" disse Hakuin.

Kōan della vera Via
La vera Via
Joshu chiese al maestro Nansen: "Qual è la vera Via?".
Nansen rispose: "La Via di ogni giorno è la vera Via".
Joshu chiese: "Posso studiarla?".
Nansen rispose: "Più studi e più ti allontani dalla Via".
Joshu allora chiese ancora: "Ma se non devo studiarla, come posso conoscerla?".
Nansen rispose: "La vera Via non appartiene alle cose che si vedono né alle cose che non si vedono, non appartiene alle cose che si conoscono né alle cose sconosciute. Non cercarla, non studiarla, non nominarla, per trovarti su di essa, apriti, immenso come il cielo.

Libro consigliato da Aforismario
101 Storie Zen
Curatori: Nyogen Senzaki e Paul Reps
Editore: Adelphi, 1973

«Lo Zen non è una setta ma un‟esperienza». Da questa esperienza, che ha al suo centro la nozione di satori, “illuminazione”, è nata una letteratura immensa, dalle numerose ramificazioni, a partire dal sesto secolo in Cina (sotto il nome di Ch‟an) e a partire dal dodicesimo secolo fino ai nostri giorni in Giappone (sotto il nome di Zen). Ciò che in Occidente ha finito per presentarsi spesso come moda banale è dunque una ricchissima tradizione religiosa, senza la quale è impensabile una grande parte della filosofia, della letteratura e dell‟arte estremo-orientali. Per avvicinarsi a questo intricato complesso poche introduzioni sono altrettanto giuste nel tono, svelte e amabili come questa raccolta di storie Zen curata da Nyogen Senzaki e Paul Reps. Il lettore vi troverà una scelta dalla “Raccolta di pietre e di sabbia” di Muju, maestro giapponese del tredicesimo secolo, e da altri testi classici Zen, sino alla fine del secolo diciannovesimo. Con sobrietà e grazia Senzaki e Reps hanno saputo presentare in rapidi tratti apologhi capitali o ignoti, intrecciandoli con felice precisione, in modo che il lettore possa entrare in contatto immediato con le grandi questioni (e con le grandi soluzioni) dello Zen; contatto che troverebbe ben più difficilmente affidandosi a ponderosi manuali, contrari già nella loro costruzione allo spirito Zen − per eccellenza imprendibile e paradossale, irridente verso ogni sapienza soddisfatta, spesso nascosto dietro gli schermi del vuoto e del non sapere.

Note
Vedi anche: Frasi sullo Zen - Meditazioni Zen - Detti Zen