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Frasi e citazioni di Carlo Petrini

Selezione di frasi e citazioni di Carlo Petrini (Bra, 1949), gastronomo, sociologo, saggista e attivista italiano, fondatore nel 1986 dell'associazione Slow Food, che si pone come obiettivo la promozione di una gastronomia sana e piacevole, in contrapposizione al dilagare del fast food e del cibo spazzatura. Fin dal 2004, ogni due anni, Slow Food organizza un grande meeting internazionale di comunità del cibo, chiamato Terra Madre, che è diventato oggi una potente rete mondiale del cibo sostenibile: 
"Era tempo di riconoscere che il settore enogastronomico era uno dei grandi pilastri del nostro essere italiani, del nostro modo di lavorare e di vivere, qualcosa di importante su cui porre le basi per un futuro migliore. Bisognava iniziare a prendere piena coscienza del suo valore, economico e culturale; bisognava smetterla di affrontarlo come un gioco simpatico, un hobby da edonisti e niente più".
Foto di Carlo Petrini
Il cibo resta e resterà la migliore forma di diplomazia della pace tra i popoli che abbiamo
oggi a disposizione, nonché la miglior fonte di piacere e felicità. (Carlo Petrini)

Buono, Pulito e Giusto
Principi di una nuova gastronomia © Einaudi, 2005 - Selezione Aforismario

Connessa al processo di industrializzazione, in poco più di un secolo si è progressivamente instaurata una sorta di dittatura tecnocratica in cui il profitto prevale sulla politica, l’economia sulla cultura e la quantità è il principale, se non l’unico, metro di giudizio per le attività umane.

Il «vascello spaziale Terra» sta andando verso il baratro. Non è più un segreto o una monotona – per quanto giusta e urgente – rivendicazione degli ambientalisti più radicali: consumiamo più di quello che il pianeta può offrire senza alterare il proprio equilibrio.

Il cibo è il principale fattore di definizione dell’identità umana, poiché ciò che mangiamo è sempre un prodotto culturale.

Terra Madre
Come non farci mangiare dal cibo
© Giunti e Slow Food Editore, 2009 - Selezione Aforismario

Il consumismo è un'ideologia che depreda le risorse, spreca e alla fine non soddisfa veramente i bisogni. Nel mondo del cibo industriale-globale quest'ideologia ha raggiunto il suo apice: siamo dei prodotti di consumo e pertanto possiamo essere depredati addirittura della nostra anima, sprecati come un prodotto seriale, usati senza mai raggiungere uno stato di reale benessere. Il cibo ci mangia.

Il cibo è il nostro legame più profondo con il mondo esterno, con la Natura: mangiare ci rende parte di un sistema complesso che gli antichi descrivevano come il “respiro della Terra”.

“Mangiare” è un atto che ci dà piacere ma che sempre più frequentemente genera ansia, di cui ci piace parlare anche se non ne sappiamo abbastanza.

Il mangiare, per le più svariate ragioni, è sempre più al centro dei nostri pensieri e dei nostri discorsi. Ma più che piacere e gioia − come dovrebbe − genera incertezza, inquietudine, ansie, paure: l'atto tra i più indispensabili per la nostra sopravvivenza diventa un problema.

Mangiare oggi genera incertezza, ansie e paure perché pretendendo di tenere la Natura fuori dalla sfera umana, abbiamo finito con l'estromettere anche il cibo, dimenticandoci il significato di una azione che compiamo almeno tre volte al giorno tutti i giorni

Il cibo è politica, il rispetto della diversità è politica, i modi in cui ci si prende cura della natura è politica.

Il cibo si è trasformato da elemento vitale, identitario, da miracolo della natura che si trasforma in cultura, in un prodotto come gli altri che risponde a tutte le leggi del consumismo: da quelle di mercato fino a quella dello spreco.

Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato. Ridurre il nostro rapporto con ciò che mangiamo quasi esclusivamente a una serie di operazioni di mercato è sia la causa sia l'effetto di un sistema che ha tolto valore al cibo e ha tolto significato alle nostre vite.

Il mangiare, nel mondo di oggi, è attraversato da continui paradossi. Fame nel mondo e malnutrizione, insieme alle pandemie planetarie dell'obesità e del diabete, sono facce della stessa medaglia.

La politica ha estromesso i contadini dal processo democratico: nell'Occidente ricco perché il loro numero è quasi irrilevante; nel Sud del mondo perché li considera masse da sfruttare al momento del voto, ma sicuramente non meritevoli di raggiungere un livello di qualità della vita per lo meno dignitoso. 

Il deserto si trova proprio nei templi del consumismo, in quelle megalopoli che s'ingrossano di povera gente che ha perso ogni speranza.

Dei tre valori della Rivoluzione Francese, libertà, uguaglianza e fraternità, sembra siano sopravvissuti soltanto i primi due, riconosciuti da tanti, anche se invocati spesso a sproposito. Ma la fratellanza, la fraternità, sembra essere sparita dall'ordine dei valori delle società occidentali.

È necessario abbandonare ogni visione bucolica e anacronistica del contadino, del produttore di cibo: bisogna invece riconferirgli tutta la sua dignità e toglierlo dalla nicchia di arretratezza e marginalità economica in cui è stato relegato.

Le attuali crisi e il momento storico che stiamo vivendo rendono evidente la necessità di trasformazioni profonde. Siamo dentro un'era di passaggio, nella quale dovranno cambiare sistemi di gestione della politica, della cultura e dell'economia, in cui servono nuovi paradigmi. 

Se voglio mangiare bene sono un elitario, se rispetto la tradizione sono ancorato al passato, se seguo regole di buona ecologia sono noioso, se guardo all'importanza del mondo rurale sono in cerca di bucoliche sensazioni… È difficile parlare dell'importanza del cibo e dell'agricoltura, del valore di saper produrre e consumare alimenti in maniera sostenibile, senza incappare in simili critiche, più che altro figlie di luoghi comuni

Il piacere alimentare, come tutti i piaceri, è fisiologico e dunque in sé non dovrebbe avere nulla di male. Invece è additato come peccaminoso, impopolare, genera pruriti moralistici e rimproveri dei “compagni”, moniti salutisti o accuse di superficialità.

Il piacere è un dono della natura; contrapporlo all'impegno e all'etica non aiuta a comprenderne la bellezza.

Il piacere alimentare è quello potenzialmente più immediato e alla portata di tutti: mangiare, e con piacere, può essere un atto politico dirompente. Il piacere non è elitario, è un diritto, e va tutelato promuovendolo, conoscendolo, rendendolo davvero alla portata di tutti.

Nel mondo così detto “sviluppato”, la società dei consumi permea così a fondo le nostre vite che non possiamo dirci estranei da colpe.

Tutti noi siamo in qualche modo complici delle crisi che hanno colpito il Pianeta. I nostri comportamenti, volenti o nolenti, non sono mai del tutto virtuosi; in molti casi infatti non possiamo restare totalmente esterni al sistema e siamo costretti a supportarlo, oltre che sopportarlo.

Il cibo resta e resterà la migliore forma di diplomazia della pace tra i popoli che abbiamo oggi a disposizione, nonché la miglior fonte di piacere e felicità. 

Bisogna lasciarsi alle spalle il pregiudizio che il cibo buono sia una cosa elitaria e soprattutto seguire due regole elementari: ricercare la qualità fuori dal sistema consumistico e riscoprire le buone pratiche domestiche e gastronomiche.

Riappropriamoci dei sensi per capire cosa è buono e conoscere meglio quello che ci circonda, riappropriamoci della realtà.

Perdendo un rapporto sano con il cibo abbiamo fatto sì che la Terra, da madre buona e premurosa, si trasformasse in una matrigna cattiva; e va riconosciuto che ne ha avuti tutti i motivi.

Cibo e libertà
Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione
© Giunti e Slow Food Editore, 2013 - Selezione Aforismario

Un gastronomo che non è un ambientalista è certamente uno stupido, ma un ambientalista che non è anche gastronomo è triste!

Un gastronomo che consuma i prodotti della terra non può restare insensibile di fronte alle tematiche ambientali.

La nostra idea di gastronomia non può prescindere dal diritto universale di nutrirsi a sufficienza e secondo la propria cultura: è un problema mondiale la cui mancata soluzione rappresenta uno scandalo assoluto, di fronte al quale un vero gastronomo non può restare indifferente.

...quella follia collettiva che è l’esplosione massmediatica del tema alimentare, soprattutto nei programmi televisivi che a qualsiasi ora e su qualsiasi canale traboccano di cibo, in una forma che non esito a definire pornografica.

Un importante strumento di liberazione per certe società e territori sta nella rivalutazione o riscoperta, in chiave strettamente gastronomica, della biodiversità e delle tradizioni culinarie locali, anche nei luoghi più insospettabili, e con formule che non hanno nulla da invidiare alla migliore ristorazione mondiale.

Perché oggi nessuno inorridisce di fronte allo scempio rappresentato dai dati su fame e malnutrizione? Che cosa ci vuole perché si formi un movimento internazionale e popolare che combatta questa piaga, in fin dei conti da quasi tutti tollerata su questo Pianeta, proprio come un tempo si tollerava la schiavitù?

Il diritto al cibo oggi è sancito dalle carte degli organismi internazionali, ma quasi un miliardo di persone ne soffre ancora la mancanza. È giunto il momento di dire basta, di unire le forze, e lavorare per un altro trionfo storico in nome dei diritti universali. E i gastronomi devono essere in prima linea, se di cibo si parla. Dobbiamo liberarci da fame e malnutrizione.

Un'idea di felicità
Conversazione tra Carlo Petrini e Luis Sepúlveda
© Guanda e Slow Food Editore, 2014 - Selezione Aforismario

Purtroppo, la rivendicazione, decisa, del diritto al piacere è stata sempre per noi croce e delizia. Croce perché ci ha subito posto nella categoria dei privilegiati, quelli che grazie ai soldi possono mangiare meglio rispetto agli altri. E delizia perché io penso che il diritto al piacere sia un diritto universale di tutta l’umanità, non solo della parte ricca.

Io sono agnostico, il piacere preferirei averlo su questa terra, non in quell’altro mondo.

Il diritto al piacere deve essere garantito a tutti e per questo va anche misurato con la nostra capacità di non esagerare.

Il piacere in campo alimentare non è crapula, non è eccesso, non è pensare a se stessi e non condividere.

Noi occidentali, intanto, siccome finora in Africa abbiamo soltanto saputo rubare attraverso forme di colonialismo o neocolonialismo terribili, è tempo che iniziamo a restituire qualcosa.

Se il cibo deve tornare al centro delle nostre vite perché è piacere, convivialità, condivisione, cultura, economia giusta, felicità, allora deve tornare al centro delle vite di tutti, anche di chi oggi non ne ha e deve essere liberato dalla sua condizione di mancanza.

Oggi nel mondo non c’è soltanto chi ha poco, ma comunque abbastanza: ci sono quelli, troppi, che non hanno a sufficienza o non hanno nulla da mangiare. 

Oggi si tollera la fame come una sventura capitata a qualcuno, lontano. La si considera come una catastrofe naturale, come un elemento ineluttabile che colpisce alcuni sfortunati, senza motivo e senza colpa, ma senza redenzione. Non è così, non può essere così in un mondo evoluto come il nostro.

Chi lavora la terra, chi fa il pescatore, chi sa rapportarsi con la natura per procurarsi nutrimento in maniera rispettosa è una persona da conoscere e da ascoltare. 

Quando ci accusano di essere utopisti, dobbiamo saper rispondere che c’è molta più concretezza nell’utopia che nel falso pragmatismo di tanta economia che ci contrabbandano come unica legge imperante.

Ormai i programmi politici, davanti al potere del mercato, contano zero. Perché se tu accetti la logica del mercato puoi fare il programma politico più progressista del mondo ma poi non lo riesci ad attuare.

Attraverso il cibo si può fare tutto, si può fare politica, economia, sociologia. 

La grande gastronomia nasce nelle case contadine, nell’economia rurale che non aveva niente ma riusciva a creare piatti straordinari.

Le nonne sono state le prime e le più importanti educatrici alimentari. Pozzi di sapienza gastronomica che allenavano quotidianamente il gusto dei nipotini. 

La felicità per me ha a che fare con la scienza gastronomica, che è la sua disciplina. Ha a che fare con la conoscenza del cibo e con un buon rapporto con esso.

Erano le nonne che ti aiutavano a superare la diffidenza verso la pellicina del pomodoro, l’amaro di certe verdure, il molle di certe zuppe, la pellicola del latte bollito. Sono state le prime esperienze nella cucina delle nonne a formare generazioni di persone, da che mondo è mondo.

Non siamo nessuno, e non siamo felici, se siamo chiusi, se siamo soli.

La diversità è la forza creativa più potente del mondo; grazie a essa si cresce e si cambia, ci si adatta, si migliora. Ce lo insegna la natura con i suoi meccanismi ma ce lo insegna anche la cultura, come quella alimentare.

Il cibo è una delle forme più alte e immediate della nostra espressione culturale: alta perché è frutto dell’ingegno, della creatività, della fatica, del sapere; immediata perché si mangia, diventa subito parte di noi stessi, si può provare senza filtri e, molto importante, ci lega sempre con un filo diretto alla natura, di cui siamo parte semplicemente in quanto viventi.

C’è cultura (tanta!) nell’agricoltura e nel modo di farla, nelle ricette tramandate o inventate, nella manualità, nel saper fare che sta dietro a tutti i processi che portano il cibo «dal campo alla tavola».

Siamo piccoli di fronte alla natura e per questo il nostro atteggiamento dovrebbe essere fatto di un’umiltà che ci conduca a una proficua interazione.

Siamo natura, siamo cibo, siamo energia, siamo umani. E il denaro non è niente di tutto questo.

C’è bisogno di poesia? Sì, ce n’è un dannato bisogno. Anche perché la poesia è uno strumento di felicità portentoso: permette di trovarla nei luoghi più impensabili, nelle cose e nelle azioni apparentemente più insignificanti.

 Un po’ di utopia, e di poesia, forse fa bene alla salute e alla società.

Bisogna riaffermare l’orgoglio di una politica che si nutre di poesia e utopia. E che è uno strumento di servizio, perché anche di questo ci si sta dimenticando. 

Terrafutura
Dialoghi con Papa Francesco sull'ecologia integrale © Giunti e Slow Food Editore, 2020

La mia vita ha sempre ruotato intorno al cibo. All’inizio per puro piacere, poi per passione e lavoro e infine per convincimento politico.

Il cibo è un universo pressoché infinito di connessioni, rimandi, concatenazioni e influenze tra ambiti completamente diversi, che richiede un approfondimento continuo anche se non potrà mai essere compreso fino in fondo.

Ascolto e generosità, confronto e intelligenza affettiva, dialogo e reciprocità devono essere considerati elementi centrali di un nuovo sistema economico, non capricci da anime belle.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Dario BressaniniMassimo MontanariMaurizio Pallante 

Frasi e citazioni di Maurizio Pallante

Selezione di frasi e citazioni di Maurizio Pallante (Roma, 1947), saggista italiano, fondatore nel 2007 del Movimento per la Decrescita Felice
"La decrescita è la strada obbligata da percorrere in questa fase storica per rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale. La meta da raggiungere percorrendo questa strada è una società sostenibile, equa e solidale, fondata su un paradigma culturale non antropocentrico, ma biocentrico".
Foto di Maurizio Pallante
Chi mantiene viva la sua spiritualità non può condividere i valori di un sistema economico
e produttivo fondato su un antropocentrismo devastante nei confronti degli ambienti,
violento nei confronti di tutti gli altri viventi, ingiusto nei confronti dei popoli poveri
e delle generazioni future. (Maurizio Pallante)

La decrescita felice
La qualità della vita non dipende dal PIL © Editori Riuniti, 2007 - Selezione Aforismario

La produzione non può crescere all'infinito perché le risorse del pianeta non lo sono e non è infinita la sua capacità di metabolizzare le sostanze di scarto emesse dai processi produttivi, dai prodotti nel corso della loro vita e dai rifiuti in cui prima o poi si trasformano.

Per essere poveri non è necessario esserlo. Basta crederlo. E per crederlo basta fare un confronto con le persone che conosci. Se puoi comprare molto meno di loro, ti senti povero.

La tecnologia avanza a passi da gigante. Quello che ieri era nuovo oggi è già vecchio. Quello che oggi è nuovo, sarà vecchio domani. 

Se si dipende totalmente dalle merci non si può far altro che adeguarsi al modo di vivere imposto dalla crescita. 

Occorre ribadire in tutte le sedi i rapporti di causa-effetto tra la crescita del prodotto interno lordo e l'esaurimento delle risorse non rinnovabili, l'incremento esponenziale delle varie forme di inquinamento, la progressiva devastazione degli ambienti naturali e storicamente antropizzati, la disoccupazione, le guerre, il degrado sociale.

Fare scelte esistenziali nell'ottica della decrescita significa ridurre la quantità delle merci nella propria vita.

[Chi] fa crescere il prodotto interno lordo acquistando illusioni scambiate per realtà, vive in uno stato di ottusità mentale, di cui i pubblicitari sono ben consci: basta ascoltare i loro messaggi per capire che escludono a priori le poche persone dotate di autonomia di pensiero.

Il rifiuto di acquistare merci che non servono, o danneggiano il mondo e se stessi, non è una rinuncia fatta per nobili motivi, ma una scelta fatta per egoismo. Per stare meglio. 

Per aver bisogno di comprare tutto ciò che serve a soddisfare i propri bisogni vitali bisogna essere incapaci di tutto. Solo chi non sa fare niente di ciò che gli serve può diventare un consumista senza alternative. 

Maggiore è la quantità di beni che si sanno autoprodurre, minore è la quantità di merci che occorre comprare, meno denaro occorre per vivere. 

Nessuno può illudersi di autoprodurre tutto ciò che gli serve per vivere. L'autoproduzione di beni e servizi può essere però potenziata da scambi non mercantili fondati sul dono e sulla reciprocità, che oltre a essere fattori di decrescita economica contribuiscono anche a rafforzare i legami sociali.

Maggiori sono le innovazioni, più rapida è la loro successione, maggiore è la crescita della produzione e del consumo di merci. In un sistema economico che misura la crescita del benessere con la crescita del prodotto interno lordo, l'innovazione diventa un valore in sé. 

Il culto della crescita economica, dell'innovazione e del progresso accomuna tutti i partiti di destra e di sinistra, la Grande Diade in cui ciascuno di essi trova la propria nicchia ecologica.

La crescita e il progresso esercitano un vero e proprio terrorismo psicologico nei confronti di chi non li accetta supinamente. O con noi o contro di noi.

Chi denuncia i gravissimi problemi posti dalla crescita e ritiene che ci si debba avviare al più presto sulla strada della decrescita, rifiuta il determinismo di una direzione obbligata e rivendica libertà di scelta. 

Destra e sinistra addio
Per una nuova declinazione dell'uguaglianza © Lindau, 2016

Chiunque può vedere ogni giorno che chi non rispetta i viventi non umani e i luoghi in cui vive, non rispetta nemmeno gli esseri umani. E che chi non rispetta gli esseri umani non rispetta nemmeno gli altri viventi e i luoghi in cui vive. 

Una maggiore equità tra gli esseri umani si può realizzare solo rispettando la trama delle relazioni tra tutte le specie viventi e i luoghi in cui si svolge la loro vita. 

Occorre capire che una maggiore equità tra gli esseri umani si può ottenere solo se si persegue una maggiore equità nelle relazioni tra la specie umana e le altre specie viventi.

Solo abbandonando la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci è possibile ridurre le iniquità tra gli esseri umani e la violenza nei confronti di tutti i viventi, esseri umani compresi.

Il denaro può essere considerato il fondamento del sistema dei valori soltanto da persone che hanno smarrito la dimensione spirituale e non riescono a vedere nella vita altra prospettiva oltre la soddisfazione delle esigenze materiali.

Chi mantiene viva la sua spiritualità non può condividere i valori di un sistema economico e produttivo fondato su un antropocentrismo devastante nei confronti degli ambienti, violento nei confronti di tutti gli altri viventi, ingiusto nei confronti dei popoli poveri e delle generazioni future. 

La rivalutazione della spiritualità è indispensabile per contrastare la forza e smascherare l’astuzia con cui nel modo di produzione industriale il denaro è riuscito ad acquisire nell’immaginario collettivo un’importanza superiore non solo ai valori su cui si fonda il diritto, ma alla stessa utilità che se ne può ricavare.

Sostenibilità equità solidarietà
Un manifesto politico e culturale © Lindau, 2018

Non si può lasciare un mondo sano e bello alle generazioni future se non si smette di sostenere a debito la domanda per continuare a far crescere la produzione di merci.

Ci sono motivazioni più che sufficienti per credere che la disaffezione dalla politica abbia qualche fondamento. 

Ha senso lavorare e produrre sempre di più devastando paesaggi, ammassando quantità crescenti di sostanze di scarto tossiche, avvelenando l’aria e il ciclo dell’acqua, utilizzando tecnologie sempre più potenti che contribuiscono anche ad aumentare la disoccupazione?

Occorre superare l’antropocentrismo, la riduzione degli esseri umani alla dimensione economica, il loro appiattimento sul consumismo, l’identificazione del concetto di nuovo col concetto di migliore. Occorre ridurre la mercificazione e recuperare la solidarietà.

Il diritto di non emigrare
© Lindau, 2020

Le forze politiche che non vogliono accogliere i migranti impegnano tutte le loro energie per impedirne l’ingresso – chiudono i porti, innalzano muri e installano recinzioni difficilmente valicabili sui confini –, ma non fanno nulla per rimuovere le cause che li inducono a emigrare. Anzi, le accentuano con le loro scelte di politica economica e industriale.

[Le forze politiche], avendo come unico parametro di riferimento culturale e politico l’aumento dell’occupazione, dei redditi monetari e dei consumi, sostengono anche aziende con processi produttivi devastanti per la salute umana e per gli ambienti.

L’appiattimento sulla dimensione materialistica, l’avidità, l’insensibilità nei confronti dei danni inferti alla natura e l’insensibilità nei confronti delle sofferenze dei più poveri sono tutti aspetti che nel loro insieme definiscono un sistema di valori fondato sull’iniquità e sulla sopraffazione dei forti sui deboli.

Se continuerà a crescere il numero degli esseri umani che non riescono più a vivere nel loro Paese, sarà sempre più difficile accoglierli tutti e sarà sempre più difficile respingerli tutti. Né i sentimenti umanitari, né la durezza di cuore sono risolutivi.

Le sofferenze causate dalle migrazioni si riducono solo se si riducono i flussi migratori. E i flussi migratori si possono ridurre solo se si riducono l’iniquità sociale e l’insostenibilità ambientale che inducono, o costringono, percentuali crescenti di popoli poveri a emigrare dai loro Paesi, in cui non riescono più a ricavare il necessario per vivere.

Le moderne società industriali non possono essere il modello di riferimento per i popoli poveri, perché, pur rappresentando il massimo livello evolutivo raggiunto dalla storia, hanno iniziato una rapida parabola involutiva, in cui stanno trascinando tutta la specie umana. 

Solo un profondo cambiamento delle finalità che il modo di produzione industriale ha assegnato all’economia (la crescita della produzione di merci), degli stili di vita funzionali a quelle finalità (il consumismo), del sistema dei valori (il materialismo, l’esaltazione della competizione, l’avidità), possono arrestare l’involuzione catastrofica che si prospetta.

L'imbroglio dello sviluppo sostenibile
© Lindau, 2022 - Selezione Aforismario

Lo sviluppo economico porta inevitabilmente a superare i limiti della sostenibilità ambientale. L’economia mondiale li ha già superati di molto e da molto. Affinché torni a essere sostenibile dalla biosfera occorre ridurre il consumo delle risorse, le emissioni di sostanze di scarto, la produzione e l’uso di sostanze di sintesi chimica fino a eliminarle. Ogni ulteriore sviluppo non è compatibile con la sostenibilità.

Per rientrare nei limiti della sostenibilità ambientale occorre decrescere.

Se la specie umana non ricondurrà i suoi consumi di risorse e le emissioni di anidride carbonica nei limiti della sostenibilità ambientale, non ridurrà progressivamente la produzione di sostanze di sintesi chimica non biodegradabili e le forme di inquinamento che riducono la biodiversità, si modificheranno irreversibilmente gli equilibri geobiochimici che le hanno consentito di svilupparsi e correrà il rischio di estinguersi.

La decrescita auspica la riduzione dei consumi nelle società opulente, dove sono diventati il fine della vita e l’indicatore della realizzazione umana.

La decrescita non è più l’alternativa utopica alla crescita, ma l’unica alternativa possibile alla recessione.

Nelle società moderne i rapporti interpersonali sono quasi esclusivamente mediati dal denaro, per cui contengono il germe della conflittualità e inducono alla competizione, o all’indifferenza, nei confronti degli altri.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Serge Latouche - Francesco Narmenni - Carlo Petrini

Frasi e citazioni di Michael Pollan

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Michael Pollan (Long Island, 1955), giornalista e saggista statunitense, docente di giornalismo all'UC Graduate School of Journalism di Berkeley, noto soprattutto come autore di libri-inchiesta sul cibo e l'alimentazione.
Foto di Michael Pollan
Se in passato era «cibo» tutto quello che si poteva mangiare, oggi nei supermercati vi sono
migliaia di sostanze commestibili che del cibo hanno solo la parvenza. (Michael Pollan)

Il dilemma dell'onnivoro
The Omnivore's Dilemmas, 2006 - Selezione Aforismario

C’è chi pensa che il nostro inesauribile e multiforme appetito sia responsabile della nostra barbarie ma anche delle più alte conquiste della nostra civiltà: una creatura in grado di mangiare ogni cosa (tra cui, va ricordato, i propri simili) ha bisogno in modo particolare di darsi delle regole, dei limiti, un’etica, dei rituali. Siamo ciò che mangiamo, ma anche come mangiamo.

Ogni giorno l’atto del cibarsi muta la natura in cultura, trasformando la materia del mondo in corpi e menti umani.

La nostra cultura è arrivata a un punto in cui ogni antica forma di saggezza riguardo al modo di nutrirsi sembra svanita, rimpiazzata da incertezze e ansie di vario genere. 

L’atto del mangiare ci mette di fronte a ciò che ci unisce e ci divide dagli altri animali. Il cibo ci definisce per quello che siamo.

Passare dal Gallus gallus al fast-food, dal pollo al McPollo, è un viaggio nell’oblio che non potrebbe essere più dispendioso, in termini di sofferenza animale e del nostro stesso piacere. 

Se potessimo guardare oltre i recinti sempre più sorvegliati degli allevamenti intensivi cambieremmo sicuramente la nostra dieta.

Il genio del capitalismo è riuscito a ricreare nei supermercati e nei fast-food uno stato simile a quello di natura, riportandoci in un ambiente incomprensibile e nutrizionalmente ostile, ancora una volta sotto l'ombra del dilemma dell'onnivoro.

La più naturale delle attività umane, scegliere cosa mangiare, è diventata in qualche modo un’impresa che richiede un notevole aiuto da parte degli esperti. Come siamo arrivati a questo punto?

Quando è possibile mangiare quasi tutto ciò che la natura ha da offrire, decidere che cosa è bene mangiare genera inevitabilmente una certa apprensione, soprattutto se certi cibi possono rivelarsi dannosi per la salute o addirittura letali.

La nostra inventiva nel trovare modi per alimentarci è prodigiosa, ma spesso le nostre tecniche entrano in conflitto con il modo di procedere della natura, come quando coltiviamo piante o alleviamo animali in gigantesche monocolture. La natura non farebbe mai una cosa del genere, perché, per ottime ragioni, preferisce la diversità.

Le follie del presente, quelle tipiche della catena industriale, hanno raggiunto un nuovo ordine di grandezza: attingiamo energia dai combustibili fossili, alleviamo milioni di animali (tutti della stessa specie) in spazi ristretti, li nutriamo con cibi a cui l’evoluzione naturale non li ha predisposti, ingurgitiamo nuove sostanze molto più strane di quanto possiamo immaginare, e così via. Stiamo giocando con la nostra salute, e con quella del pianeta, a livelli mai visti finora.

Il nostro modo di alimentarci determina in larga misura l’uso che noi facciamo del mondo – e ciò che sarà di lui.

Molti aspetti della nostra vita in un mondo globalizzato ci sembrano ormai al di fuori del controllo individuale: il futuro del nostro posto di lavoro, il prezzo della benzina, finanche il risultato delle elezioni. Ma il mangiare, in qualche modo, è diverso. Siamo ancora in grado di scegliere, giorno dopo giorno, cosa mettere in pancia, di quale catena alimentare fare parte.

L’obesità e il diabete di tipo II sono proprio le malattie che ci aspettiamo di vedere in un mammifero con il metabolismo stravolto dall’abbondanza di cibi superenergetici presenti nel suo ambiente.

Un paese con una forte cultura del cibo non spenderebbe ogni anno, a gennaio, milioni di dollari per l’ennesimo libro sulla dieta pieno di sciocchezze o di banale buonsenso. Non sarebbe preda di mode e paure sempre nuove, non oscillerebbe anno dopo anno tra l’esaltazione di certi cibi e la demonizzazione di altri. Non scambierebbe mai una barretta proteica o una pillola di integratori per un vero pranzo, o una tazza di cereali per una medicina. Non consumerebbe un quinto dei pasti in auto, non farebbe mangiare un terzo dei suoi figli nei fast-food tutti i giorni. E di sicuro non sarebbe pieno di obesi.

Avere piena consapevolezza della posta in gioco quando si mangia può sembrare un fardello eccessivo, ma in realtà porta a grandi soddisfazioni, tra le maggiori che si possano provare. Il piacere dato da un pasto di origine industriale, invece, è effimero. Oggi molti si accontentano di mangiare senza pensare.

In difesa del cibo
In Defense of Food, 2008 - Selezione Aforismario

Se in passato era «cibo» tutto quello che si poteva mangiare, oggi nei supermercati vi sono migliaia di sostanze commestibili che del cibo hanno solo la parvenza.

Mangiate cibo vero. Con moderazione. Soprattutto, mangiate vegetali.

Se davvero vi sta a cuore la vostra salute, evitate i prodotti che si dichiarano salutari. Perché questo è un forte indizio che non si tratta di veri alimenti.

Gran parte di ciò che oggi consumiamo non è più, a rigor di termini, cibo, e il modo in cui lo consumiamo – in automobile, davanti alla televisione, e sempre più spesso da soli – non è veramente mangiare, almeno non nel significato che per secoli la nostra civiltà ha dato a questa parola.

Le malattie croniche che uccidono la maggior parte di noi sono direttamente riconducibili all’industrializzazione del sistema alimentare.

Uso di prodotti chimici per coltivare piante e allevare animali in enormi monocolture; sovrabbondanza di zuccheri e grassi, calorie a buon mercato prodotte dall’agricoltura industriale; riduzione della varietà biologica degli alimenti a poche colture di base, prevalentemente frumento, mais e soia. Questi cambiamenti hanno prodotto un tipo di alimentazione che per noi è normale: scatolette, piatti pronti, un sacco di grassi e zuccheri aggiunti, un sacco di tutto – tranne verdura, frutta e cereali integrali.

La principale minaccia che pesa sui pasti tradizionali è lo smangiucchiare senza regole in ogni momento della giornata e in ogni luogo. 

Non c’è nulla di male a mangiare un po’ di carne, purché non sia il piatto principale. Ed è meglio mangiare cibi freschi piuttosto che prodotti trasformati.

Oggi gli americani riscoprono qualcosa che europei, asiatici e altri popoli dalle forti tradizioni culinarie conoscono da tempo ma che rischia d’essere dimenticato: il piacere di mangiare cibo vero in pasti degni di questo nome. Essi scoprono inoltre che le scelte migliori per la nostra salute sono anche le migliori per il pianeta. Che siano anche le scelte più piacevoli è davvero un’ottima notizia.

Breviario di resistenza alimentare
Food Rules, 2009 - Selezione Aforismario

Le popolazioni che seguono la cosiddetta dieta occidentale – in breve, molti cibi industriali e carne, molti grassi e zuccheri aggiunti, molti cereali raffinati, molto di tutto tranne che verdura, frutta, e cereali integrali – soffrono in altissima percentuale delle cosiddette malattie occidentali: obesità, diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari e cancro.

Mangiate cibo vero. Con moderazione. Soprattutto vegetali.

Oggi la sfida di una buona alimentazione è tutta qui: scegliere cibo vero, stando alla larga dai ritrovati industriali.

Non mangiate niente che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo.

I cibi odierni vengono progettati a tavolino, con il preciso scopo di farci comprare e mangiare di più, facendo leva su alcuni nostri automatismi evoluzionistici: la nostra preferenza innata per il dolce, il grasso, il salato. 

Evitate prodotti con ingredienti che nessun essere umano normale terrebbe in dispensa.

Digliceridi etossilati? Cellulosa? Gomma xanthan? Propionato di calcio? Solfato di ammonio? Nessuno di noi li userebbe mai per cucinare. Perché allora dovremmo permettere ad altri di infilarli nei cibi che preparano per noi?

L’industria alimentare gioca al piccolo chimico con il nostro cibo.

Evitate cibi le cui etichette elencano tra i primi ingredienti una qualunque forma di zucchero (o dolcificante)

Più ingredienti sono contenuti in un cibo confezionato e più è probabile che si tratti di un prodotto ad alta raffinazione industriale. 

Evitate cibi con ingredienti che un bambino di terza elementare non riuscirebbe a pronunciare

Più un alimento è raffinato, e a lunga scadenza, meno è nutriente. Il cibo vero è vivo. Quindi, prima o poi, dovrebbe anche morire. (Esistono rare eccezioni alla regola: la durata del miele, per esempio, si calcola in secoli.)

Molto meglio concedersi uno spuntino di frutta, fresca o secca, e noci – cibo vero! –, piuttosto che aprire un sacchetto di patatine o scartare una merendina.

Un numero incalcolabile di studi dimostra che un’alimentazione ricca di frutta e verdura riduce il rischio di morire di tutte le malattie occidentali.

Che si tratti di zuppe, cereali o bibite, i cibi e le bevande industriali contengono molto più sale o zucchero di quanto ne aggiungerebbe una persona normale, persino un bambino. 

Ricordate: non esistono bibite gassate sane.

Piante che cambiano la mente
This Is Your Mind on Plants, 2021

Di solito non pensiamo alla caffeina come a una droga, o al consumo quotidiano che ne facciamo come a una tossicodipendenza, ma solo perché tè e caffè sono legali e la nostra dipendenza da essi è socialmente accettabile.

Le società tollerano le droghe che cambiano la mente quando contribuiscono ad appoggiare il dominio della società e le proibiscono quando ai loro occhi lo minano.

Il caffè e il tè, che hanno ampiamente dimostrato il loro valore per il capitalismo in molti modi, non ultimo quello di renderci lavoratori più efficienti, non corrono alcun pericolo di essere vietati, mentre gli psichedelici – che non sono più tossici della caffeina e danno decisamente meno dipendenza – sono considerati, almeno in Occidente a partire dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, una minaccia alle norme e alle istituzioni sociali.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Jonathan Safran Foer - Carlo Petrini

Frasi e citazioni di Serge Latouche

Selezione di frasi e citazioni di Serge Latouche (Vannes, 1940), economista e filosofo francese, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-Sud, ispiratore teorico del Movimento per la decrescita e sostenitore della convivialità e del localismo.
Foto di Serge Latouche
Sarebbe indispensabile introdurre in questo universo un po’ più di altruismo,
un po’ più di cooperazione, e modificare totalmente il nostro rapporto con la natura.
Bisognerebbe comportarsi da buoni giardinieri e non da predatori. (Serge Latouche)

La scommessa della decrescita
Le pari de la décroissance, 2006

Pubblicità – un mezzo studiato per rendervi scontenti di ciò che avete e farvi desiderare ciò che non avete.

Breve trattato sulla decrescita serena
Petit traité de la décroissance sereine, 2007 - Selezione Aforismario

Dove andiamo? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta.

La parola d'ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessità dell'abbandono dell'obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale, con conseguenze disastrose per l'ambiente e dunque per l'umanità. 

A rigore, sul piano teorico si dovrebbe parlare di acrescita, come si parla di ateismo, più che di decrescita. In effetti si tratta proprio di abbandonare una fede o una religione, quella dell'economia, del progresso e dello sviluppo, di rigettare il culto irrazionale e quasi idolatra della crescita fine a se stessa.

La nostra società ha legato il suo destino a un'organizzazione fondata sull'accumulazione illimitata. Questo sistema è condannato alla crescita. Non appena la crescita rallenta o si ferma è la crisi, il panico.

La nostra sovracrescita economica si scontra con i limiti della finitezza della biosfera. La capacità rigeneratrice della terra non riesce più a seguire la domanda: l'uomo trasforma le risorse in rifiuti più rapidamente di quanto la natura sia in grado di trasformare questi rifiuti in nuove risorse. 

Siamo diventati dei "tossicodipendenti" della crescita. 

La pubblicità ci fa desiderare quello che non abbiamo e disprezzare quello che già abbiamo. Crea incessantemente l'insoddisfazione e la tensione del desiderio frustrato. 

Oggi la crescita è un affare redditizio solo a patto di farne sopportare il peso e il prezzo alla natura, alle generazioni future, alla salute dei consumatori, alle condizioni di lavoro degli operai e, soprattutto, ai paesi del Sud.

Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti: la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi, e l'obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità. 

Si può credere veramente che una crescita infinita in un pianeta finito sia possibile?

È necessario passare dalla fede nel dominio sulla natura alla ricerca di un inserimento armonioso nel mondo naturale. Sostituire l'atteggiamento del predatore con quello del giardiniere.

Non sarà possibile costruire una società serena della decrescita senza ritrovare le dimensioni della vita che sono state rimosse: il tempo per fare il proprio dovere di cittadino, il piacere della produzione libera, artistica o artigianale, la sensazione del tempo ritrovato per il gioco, la contemplazione, la meditazione, la conversazione, o semplicemente la gioia di vivere.

La ricetta della decrescita consiste nel fare di più e meglio con meno. 

Esiste una "cosmocrazia" mondiale che, senza una decisione esplicita, svuota la politica della sua sostanza e impone le sue volontà attraverso "la dittatura dei mercati finanziari". Che lo vogliano o no, tutti i governi sono dei "funzionari" del capitale.

Gli stati non sono più padroni delle loro decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari, a causa delle multinazionali, che non dipendono da nessuno stato. Le multinazionali operano senza assumersi nessuna responsabilità e non sono controllate da nessun parlamento o istanza rappresentativa dell'interesse generale.

Senza recuperare l'"incanto della vita", la decrescita sarebbe votata al fallimento. È necessario ridare un senso al tempo liberato. 

Come si esce dalla società dei consumi
Sortir de la société de consommation, 2010 - Selezione Aforismario

Per misteriosa che sia, la vita è un dono meraviglioso. È vero, l’uomo ha la facoltà di trasformarla in un dono avvelenato e, dall’avvento del capitalismo, non ha fatto altro che esercitare una tale facoltà.

La società dei consumi di massa globalizzata è arrivata in fondo al vicolo cieco. È una società che ha la sua base – anzi la sua essenza – nella crescita senza limiti, mentre i dati fisici, geologici e biologici le impediscono di proseguire su quella strada, data la finitezza del pianeta. È giunto il momento del crollo. 

La decrescita è uno slogan provocatorio che vuole indicare la necessità di una rottura con la società della crescita, cioè con una società fagocitata da un’economia che ha come unico obiettivo la crescita per la crescita.

La via della decrescita è quella della resistenza al rullo compressore dell’occidentalizzazione del mondo, del dissenso nei confronti del totalitarismo rampante della società dei consumi globalizzata.

L'abbondanza combinata con il «ciascuno per sé» produce miseria, mentre la condivisione, anche nella frugalità, produce la soddisfazione di tutti, cioè la gioia di vivere.

Con la crisi economica, la crescita verde è diventata, a destra come a sinistra, la panacea, il cuore di un New Deal ecologico, che permette un greenwashing e il rilancio di un capitalismo rifondato, etico e responsabile, drogato con gli ormoni dell’ecobusiness.

La decrescita è un’arte di vivere. Un’arte di vivere bene, in accordo con il mondo.

La via della decrescita è anche quella dell’emancipazione e della conquista dell’autonomia. È la ricerca della libertà vera e non della sua caricatura, quella dell’edonismo sfrenato e senza regole proposta dalla pubblicità e dal marketing e promossa dal nuovo spirito del capitalismo, falsamente gioioso e di fatto mortifero. 

Per un'abbondanza frugale
Vers une société d'abondance frugale, 2011

Il sovraconsumo materiale lascia una parte sempre più consistente della popolazione nella penuria e non assicura neppure un vero benessere agli altri. La ridefinizione della felicità come «abbondanza frugale in una società solidale»: questa è la rottura proposta dal progetto della decrescita.

Come reincantare il mondo
Comment réenchanter le monde, 2019

Indubbiamente, tutte le società umane hanno votato un culto alla crescita, ma solo l’Occidente moderno ne ha fatto la sua religione.

La fede nell’economia non è più una scelta della coscienza, ma una droga alla quale siamo assuefatti e non siamo capaci di rinunciare volontariamente.

Una volta che il progressismo e l’economicismo sono stati incorporati nel nostro consumo quotidiano, li respiriamo con l’aria inquinata del tempo, li beviamo con l’acqua contaminata dai pesticidi, li mastichiamo con il cibo spazzatura, li indossiamo con i vestiti prodotti nei lager del sudest asiatico, li portiamo a spasso nelle nostre belle auto da cambiamento climatico.

Il tempo della decrescita
Le temps de la décroissance, 2010 (con Didier Harpagès)

Il tempo della decrescita è dunque arrivato! La società della frugalità per scelta, che deve emergere dal suo solco, avrà come presupposto quello di lavorare meno per vivere meglio, di consumare meno ma meglio, di produrre meno rifiuti, di riciclare di più. Insomma, ritrovare il senso della misura e un'impronta ecologica sostenibile.

L'abbondanza frugale come arte di vivere
L’abondance frugale comme art de vivre, 2020 - Selezione Aforismario

In sostanza, per i moderni la felicità è indissociabile dal denaro. Dato che la moneta è, come dicono gli economisti, «libertà coniata», è anche il mezzo per realizzare tutti gli obiettivi possibili in un mondo totalmente commerciale. 

Anche se si concede che il denaro non sempre fa la felicità, tutti sono d’accordo sul fatto che la mancanza di denaro rende infelici. 

La solitudine consumistica della cosiddetta società dell’abbondanza conduce con facilità alla tristezza, se non alla disperazione.

Ormai è diffusa la provocatoria formula giornalistica riproposta talora negli ultimi anni a proposito della maggior parte dei paesi in crescita in un contesto neoliberale: «l’economia è in salute, ma i cittadini stanno male».

Una società fondata sull’avidità e la competizione produce inevitabilmente una massa enorme di «perdenti» assoluti (i lasciati indietro) e relativi (i rassegnati), e dunque di frustrati, accanto a un piccolo gruppo di predatori sempre più ansiosi di consolidare o di rafforzare la loro posizione.

Una società decente o conviviale non deve produrre esclusi.

La costruzione di una società alternativa presuppone di uscire dal circolo infernale della creazione illimitata di bisogni e di prodotti e della frustrazione crescente che produce, e, contemporaneamente, di moderare l’egoismo e l’individualismo trasformati peraltro in massificazione omologante.

La pretesa società dell’abbondanza è soprattutto una società della penuria e della rarità delle cose essenziali: aria pura, acqua naturale potabile, cibo sano, spazi verdi, alloggi decenti e, naturalmente, tempo della convivialità.

La via della decrescita, se non è una garanzia di accesso alla felicità terrestre, è comunque una risposta alla decadenza generale prodotta dalla società della crescita.

Per concepire una società della decrescita bisogna dunque, letteralmente, uscire dall’economia. Il che significa mettere in discussione il dominio dell’economia sull’insieme della vita, nella teoria e nella pratica, ma soprattutto nelle nostre teste. 

Quali sono i valori della società della crescita? Basta premere un bottone del telecomando di un televisore e lo si vede immediatamente: guadagnare soldi, il più possibile, con tutti i mezzi, esaltando la concorrenza, la competitività, la volontà di riuscire a tutti i costi, eventualmente schiacciando gli altri. E anche, ovviamente, distruggendo la natura senza pietà e senza limiti.

Sarebbe indispensabile introdurre in questo universo un po’ più di altruismo, un po’ più di cooperazione, e modificare totalmente il nostro rapporto con la natura. Bisognerebbe comportarsi da buoni giardinieri e non da predatori.

Dobbiamo renderci conto che la ricchezza non sono solo i soldi; la vera ricchezza può essere anche avere degli amici, fare cose interessanti, arricchirsi intellettualmente, realizzare le proprie potenzialità ecc.

La logica economica moderna ha trasformato la sobrietà tradizionale in valore negativo, mentre i poveri sono diventati miserabili.

Ridurre potrebbe riassumere da solo, volendo semplificare, il progetto della decrescita: ridurre la nostra impronta ecologica, ridurre il nostro consumo, ridurre gli sprechi ecc. 

Ristabilire un rapporto «sano» con il tempo significa semplicemente imparare di nuovo ad abitare il mondo. E dunque liberarsi della dipendenza dal lavoro per ritrovare la lentezza, riscoprire i sapori della vita legati ai territori, alla prossimità e al prossimo.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Marc AugéIvan Illich - Maurizio Pallante

Aforismi, frasi e citazioni sulla Frugalità

Raccolta di aforismi, frasi e citazioni sulla frugalità, cioè l'essere sobri e morigerati nei cibi e, in generale, nel modo di vivere. Su Aforismario trovi altre raccolte di citazioni correlate a questa sulla parsimonia, il risparmio, la moderazione, la sobrietà e la semplicità. [I link sono in fondo alla pagina].
Dipinto de Il Mangiafagioli di Annibale Carracci, ca.1585
Senza frugalità nessuno può essere ricco, e con essa pochissimi sarebbero poveri.
(Samuel Johnson) Immagine: Il Mangiafagioli, di Annibale Carracci, ca.1585

La frugalità si fonda sul principio che ogni ricchezza ha dei limiti.
Edmund Burke [1]

Per esser veri democratici bisognerebbe esser frugali; unico mezzo pel quale potrebbero tutti godere gli stessi beni, avere le speranze stesse.
Cesare Cantù, Attenzione!, 1871

La frugalità senza creatività è privazione.
Amy Dacyczyn [1]

Non si è viziosi che per il vizio, non si è virtuosi che per la virtù; così non si è frugali che per riguardo alla propria prodigalità.
Jacques Deval, Taccuino di un autore drammatico, 1952

Facciamo gran conto della frugalità, non perché sempre si debba stare a regime semplice e parco, ma per essere senza preoccupazioni rispetto a queste cose.
Epicuro, Sentenze, IV-III sec. a.e.c.

Frugalità è massima ricchezza.
Epicuro, ibidem

Timore di vita frugale induce molti a vita piena di timore.
Epicuro, ibidem

Una vita frugale porta con sé la purità; colui che non se ne rende conto soffre lo stesso di colui che si abbandona a una vita smodata.
Epicuro, Sentenze, IV-III sec. a.e.c.

In quanto entrambi eliminano il dolore della fame, un cibo frugale o un pasto sontuoso danno un piacere uguale.
Epicuro, Lettera a Meneceo, IV-III sec. a.e.c.

La frugalità è una buona rendita.
Erasmo da Rotterdam [1]

Alcuni riescono a cavarsela grazie al non fare spese. Si fanno risuolare le scarpe, rattoppano, rammendano, cuciono e risparmiano. Evitano l'acquisto rateale e fanno compere solo dopo aver risparmiato abbastanza per pagare in contanti, evitando così l'addebito di interessi. Frugalità significa praticare un'attenta economia.
James E. Faust [1]

La strada per la ricchezza dipende soltanto da due parole: laboriosità e frugalità.
Benjamin Franklin [1]

Senza laboriosità e frugalità, nulla va bene; con esse, va bene tutto.
Benjamin Franklin [1]

L'operosità, la perseveranza e la frugalità fanno fruttare la fortuna.
Benjamin Franklin [1]

La frugalità è una rinuncia spontanea.
Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983

L'uomo si accontenta di poco non per frugalità e modestia, ma per pigrizia o impotenza.
Roberto Gervaso, La volpe e l'uva, 1989

La frugalità è la madre di tutte le virtù.
Giustiniano I, VI sec.

La vera felicità è frugalità, / e la sufficienza / ha abbastanza ovunque.
Johann Wolfgang Goethe, Aquila e colomba, 1772

Senza frugalità nessuno può essere ricco, e con essa pochissimi sarebbero poveri.
[Without frugality none can be rich, and with it very few would be poor].
Samuel Johnson, su The Rambler, 1750/52

La frugalità può essere definita figlia della Prudenza, sorella della Temperanza e madre della Libertà.
Samuel Johnson [1]

L'abbondanza combinata con il «ciascuno per sé» produce miseria, mentre la condivisione, anche nella frugalità, produce la soddisfazione di tutti, cioè la gioia di vivere.
Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi, 2011

Per concepire e costruire una società dell’abbondanza frugale e una nuova forma di buona vita, è necessario decostruire l’ideologia della felicità quantificata della modernità.
Serge Latouche, Per un'abbondanza frugale, 2011

La via della decrescita vuole per l’appunto costruire una società ecosocialista più giusta e più democratica, una società decente dell’abbondanza frugale fondata sull’autolimitazione dei bisogni. È nella resistenza al consumismo, complice della banalità economica del male, che l’obiettore di crescita inventa un’altra felicità, un’arte di vivere nella gioia.
Serge Latouche, ibidem

La necessaria frugalità che persegue la decrescita riguarda gli eccessi dell’iperconsumo e lo spreco e non la qualità del cibo, e non vuol dire affatto un ascetismo imposto.
Serge Latouche, ibidem

Abbondanza frugale significa produrre meno ma anche vivere meglio, ritrovando il tempo per la realizzazione personale e, perché no, per gustare dei buoni piatti a base di prodotti di un orto coltivato con passione.
Serge Latouche, ibidem

Molti si sono accorti che potevano sopravvivere senza consumare tanto. Hanno imparato la frugalità e si sono resi conto che potevano fare a meno di tante cose senza necessariamente vivere peggio.
Serge Latouche, Per un'abbondanza frugale, 2011

La frugalità costituisce una sorta di assicurazione contro l'incertezza del futuro e, spesso, è la premessa per il risparmio. Si può essere poveri in modi diversi, ma difficilmente un povero riesce a essere frugale.
Paolo Legrenzi, Frugalità, 2014

La frugalità è l'esito di un rifiuto dell'abbondanza e del superfluo. Spesso è una decisione che riesce facile dopo che il superfluo è stato praticato. 
Paolo Legrenzi, ibidem

La frugalità non ha nulla a che fare con la povertà: essa discende da una scelta, mentre la povertà è una costrizione.
Paolo Legrenzi, ibidem

A differenza delle decisioni collegate al risparmio, e finalizzate all'acquisto di beni, o a sconfiggere l'incertezza del futuro, la frugalità non ha altro scopo se non se stessa.
Paolo Legrenzi, ibidem

L'adesione a uno stile frugale non è più riducibile alla preferenza per la semplicità e al rifiuto del superfluo. Il confine tra ciò che è semplice e necessario, e ciò che è lussuoso e superfluo, non coincide con il confine tra frugale ed antifrugale. Scegliere di essere frugali vuol dire oggi fare a meno di molte più cose rispetto a quelle di chi un tempo credeva d'aver già scelto di essere frugale.
Paolo Legrenzi, ibidem

L'essenza della frugalità è una scelta di stile e di buon gusto.
Paolo Legrenzi, ibidem

La via per la frugalità non è fatta solo di rinunce e di privazioni. [...] Il segreto consiste nell'evitare le tentazioni. Quanto più queste si moltiplicano nel mondo contemporaneo, tanto più la frugalità diventa la chiave per il benessere.
Paolo Legrenzi, ibidem

La frugalità ha come effetto collaterale il benessere, non la ricchezza ma la tranquillità d'animo.
Paolo Legrenzi, ibidem

La frugalità è la migliore macchina per cumulare risparmi. Gestirli bene è un'altra storia.
Paolo Legrenzi, ibidem

Oggi le circostanze e le tradizioni guidano molto meno le nostre abitudini. Il più delle volte - nel caso del fumo, delle droghe e dell'alimentazione - un comportamento sano è diventato la conseguenza di una scelta consapevole a favore di una vita frugale. 
Paolo Legrenzi, ibidem

La frugalità è un sapere tacito, che s'impara da piccoli in famiglia, non un sapere che s'impara a scuola.
Paolo Legrenzi, ibidem

L'educazione alla frugalità, intesa come capacità di resistere alle tentazioni, è l'architrave di una buona educazione.
Paolo Legrenzi, ibidem

La buona frugalità deve essere qualcosa di più di una rinuncia alle tentazioni. I piaceri derivanti da una vita consumistica devono essere sostituiti da altri piaceri.
Paolo Legrenzi, ibidem

La frugalità è la migliore garanzia per assicurarsi un buon margine di manovra. La frugalità previene la scarsità futura, non solo l'eventuale scarsità di soldi.
Paolo Legrenzi, ibidem

Un'esistenza frugale può essere non solo il rifiuto del consumismo, ma la conseguenza di una scelta consapevole che facciamo per selezionare le cose importanti, illuminarle, farle risaltare, in modo da chiarire a noi stessi gli obiettivi fondamentali della nostra vita.
Paolo Legrenzi, Frugalità, 2014

La voluttà non consiste nella squisitezza de' cibi ma essa è tutta in noi, e ciò tanto è vero, che i miei pasti più deliziosi non sono già quelli, nei quali vedo regnare la delicatezza e l'abbondanza. La frugalità è una sorgente di delizie meravigliosa per la salute. 
Alain-René Lesage, Storia di Gil Blas di Santillana, 1715

Come l'esercizio fisico tempra il corpo, la frugalità tempra lo spirito. 
Morris Mandel [1]

Alla stessa maniera che per un fannullone lo studio è un tormento, per un ubriacone l’astinenza dal vino, la frugalità è un supplizio per chi vive nel lusso, e l’esercizio una tortura per un uomo delicato e ozioso: così è per il resto. Le cose non sono tanto dolorose né difficili in se stesse: ma la nostra debolezza e viltà le rendono tali.
Michel de Montaigne, Saggi, 1580-1588

La frugalità è l' amore della semplicità nel bere e nel mangiare. Essa si contenta del nutrimento che a noi somministra la natura, senza ricercare il condimento e la delicatezza, che l'arte della moderna cucina ha inventato. Differisce ancora dalla sobrietà in ciò, che questa riguarda la quantità dei cibi: la frugalità si oppone alla ghiottoneria, e la sobrietà all'ingordigia.
Didier-Pierre Chicaneau de Neuvillé, Dizionario filosofico, 1756

L'operosità è la mano destra della fortuna, la frugalità la sua sinistra.
John Ray [1]

Non conosco ancor oggi niente di meglio che un pasto frugale. Con latte, uova, verdura, formaggio, pane scuro e vino passabile si è sicuri di trattarmi bene; il mio buon appetito farà il resto.
Jean-Jacques Rousseau, Le confessioni, 1782/89

Come è indizio di mollezza cercare vivande delicate, così è irragionevole rifiutare quelle usuali, procurabili a poco prezzo. La filosofia esige frugalità, non sofferenza, e ci può essere una frugalità non priva di decoro.
Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65

Frugalità è un eufemismo per definire la miseria.
[Frugalitas miseria est rumoris boni].
Publilio Siro, Sentenze, I sec. a.e.c.

La ricchezza può essere accumulata solo dai guadagni della laboriosità e dai risparmi della frugalità.
John Tyler [1]

La frugalità è quasi madre della buona salute.
Valerio Massimo, I sec. [1]

Il primo tesoro è l’amore, il secondo la frugalità, il terzo non mettersi mai al primo posto.
Detto Zen

Note
  1. Fonte della citazione sconosciuta; se la conosci, segnalala ad Aforismario.
  2. Vedi anche aforismi, frasi e citazioni su: Parsimonia - Risparmio - ModerazioneSobrietà - Semplicità - Minimalismo

Frasi e citazioni di Ivan Illich

Selezione di aforismi, frasi e citazioni di Ivan Illich (Vienna, 1926 - Brema, 2002), saggista, storico, pedagogista e filosofo austriaco. Questa, in estrema sintesi, è la filosofia di Illich: "Io credo che, se vogliamo un futuro desiderabile, dobbiamo scegliere in modo consapevole una vita d’azione anziché una vita di consumi, inventare una maniera di vivere che ci consenta di essere spontanei, indipendenti e, tuttavia, in stretto rapporto con gli altri, e non perpetuare uno stile di vita che ci permette soltanto di fare e disfare, di produrre e consumare – un tipo d’esistenza che è una semplice stazione intermedia nel cammino verso il depauperamento e l’inquinamento dell’ambiente".
Foto di Ivan Illich
Tanto i bisogni quanto i desideri hanno assunto caratteristiche senza precedenti nella storia.
Per la prima volta i bisogni coincidono quasi esclusivamente con delle merci. (Ivan Illich)

Descolarizzare la società
Deschooling Society, 1971 - Selezione Aforismario

La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere di avere bisogno della società così com'è.
[School is the advertising agency which makes you believe that you need the society as it is].

Le scuole sono basate sul presupposto che ogni aspetto della vita abbia il suo segreto; che la qualità della vita dipenda dalla conoscenza di questo segreto; che i segreti si possano apprendere soltanto in una sequenza ordinata; e che solo gli insegnanti possano svelarli nel modo giusto.

La scuola non favorisce né l’apprendimento, né la giustizia, perché gli educatori insistono nel mettere nello stesso calderone l’istruzione e i diplomi.

La sapienza istituzionale ci dice che i bambini hanno bisogno della scuola. La sapienza istituzionale ci dice che i bambini imparano a scuola. Ma questa sapienza istituzionale è a sua volta un prodotto della scuola, perché il senso comune ci dice che la scuola insegna ai bambini. Solo segregando gli esseri umani nella categoria della fanciullezza è possibile assoggettarli all’autorità di un insegnante.

Apprendere significa acquisire per sé una nuova competenza o una conoscenza, mentre essere promossi dipende dal giudizio di altri. 

Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola. Gli allievi apprendono la maggior parte delle loro nozioni senza, e spesso malgrado, gli insegnanti.

È fuori della scuola che ognuno impara a vivere. Si impara a parlare, a pensare, ad amare, a sentire, a giocare, a bestemmiare, a far politica e a lavorare, senza l’intervento di un insegnante. 

La ricerca nel campo dell’istruzione dimostra sempre più che i bambini imparano la maggior parte di ciò che gli insegnanti credono d’insegnargli dai coetanei, dai fumetti, dalle loro osservazioni e soprattutto dalla mera partecipazione al rituale scolastico. Gli insegnanti, il più delle volte, ostacolano l’apprendimento delle materie che si fanno a scuola.

Gli allievi hanno sempre attribuito agli insegnanti ben poco di ciò che hanno imparato. Sia i brillanti sia gli ottusi, per passare gli esami, si sono sempre affidati alla memoria, allo studio e alla presenza di spirito, spinti dal bastone e dalla carota di una carriera ambita.

La scuola riserva l’istruzione a coloro che in ogni fase dell’apprendimento sanno adattarsi a un dispositivo di controllo sociale già approvato.

Ancora adesso molti credono erroneamente che la pubblica fiducia poggi sui titoli di studio di cui la scuola si fa garante. Ma invece di dare a tutti le stesse opportunità, il sistema scolastico ne ha semplicemente monopolizzato la distribuzione.

I più acquistano la maggior parte della loro cultura fuori della scuola, oppure a scuola, ma solo perché in alcuni paesi ricchi la scuola è diventata un luogo di confinamento per una parte sempre più lunga della propria vita.

Quasi tutto ciò che s’impara lo si apprende casualmente e anche l’apprendimento più intenzionale non è il risultato di un’istruzione programmata.

L’apprendimento è l’attività umana che ha meno bisogno di manipolazioni esterne. In massima parte, non è il risultato dell’istruzione, ma di una libera partecipazione a un ambiente significante.

Ovviamente, dare a tutti eguali possibilità d’istruzione è un obiettivo auspicabile e raggiungibile, ma identificare questo obiettivo con la scolarizzazione obbligatoria è come confondere la salvezza eterna con la Chiesa. 

Si “scolarizza” l’allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, conoscenza della materia e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si “scolarizza” la sua immaginazione a preferire la prestazione al valore.

Si ha una fede eccessiva nel valore dei diplomi. Il conferimento di questi attestati è di fatto una forma di manipolazione del mercato, accettabile solo da parte di chi crede ciecamente nell’istituzione scolastica.

La scuola seleziona, livello dopo livello, coloro che, nelle fasi precedenti del gioco, abbiano dato prova di non rappresentare un rischio eccessivo per l’ordine costituito.

Dobbiamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa.

Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la fede nella vita eterna.

Una volta che una società ha trasformato i bisogni fondamentali in richieste di beni di consumo prodotti da esperti, la povertà si definisce secondo parametri che i tecnocrati possono modificare a proprio piacimento.

I poveri non hanno mai avuto potere nella società. Ma il fatto che dipendano sempre di più da una protezione istituzionale dà alla loro debolezza una dimensione nuova: l’impotenza psicologica, l’incapacità di provvedere a se stessi. 

La nuova Chiesa universale è l’industria del sapere, che per un numero crescente di anni fornisce all’individuo sia l’oppio sia il banco di lavoro. Per questo, la descolarizzazione è la premessa indispensabile di qualunque movimento per la liberazione dell’uomo.

La convivialità
Tools for Conviviality, 1973 - Selezione Aforismario

Una società che voglia ripartire equamente tra i suoi membri l'accesso al sapere, e consentire loro una reale partecipazione al processo produttivo, deve stabilire dei limiti pedagogici alla crescita industriale, mantenendo tale crescita al di qua di determinate soglie psicologicamente critiche.

Siamo talmente deformati dalle abitudini industriali che non osiamo più scrutare il campo del possibile, e l'idea di rinunciare alla produzione di massa di tutti gli articoli e servizi è per noi come un ritorno alle catene del passato o al mito del buon selvaggio. 

La macchina non ha soppresso la schiavitù umana, ma le ha dato una diversa configurazione. Infatti, superato il limite, lo strumento da servitore diviene despota.

Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione, e comincia la grande reclusione. Occorre individuare esattamente dove si trova, per ogni componente dell'equilibrio globale, questo limite critico.

Il dogma della crescita accelerata giustifica la sacralizzazione della produttività industriale, a spese della convivialità. La società che ne risulta, recisa dall'intenzione personale, ci appare di conseguenza come una danza della morte, uno spettacolo d'ombre produttrici di domanda e generatrici di carenza.

Il mondo attuale è diviso in due: ci sono quelli che non hanno abbastanza e quelli che hanno troppo; quelli che le automobili cacciano dalla strada e quelli che guidano le automobili. I poveri sono frustrati e i ricchi sempre insoddisfatti.

In una società dei consumi ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi: i prigionieri della dipendenza e i prigionieri dell'invidia.
[In a consumer society there are inevitably two kinds of slaves: the prisoners of addiction and the prisoners of envy].

La società conviviale è una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri. La produttività si coniuga in termini di avere, la convivialità in termini di essere.

L'equilibrio umano è un equilibrio aperto, suscettibile di modificarsi entro parametri flessibili e tuttavia finiti: gli uomini cioè possono cambiare, ma entro certi limiti. L'attuale sistema industriale, invece, trova nella sua dinamica la propria instabilità: è organizzato in funzione di una crescita indefinita e della creazione illimitata di nuovi bisogni che, nella cornice industriale, divengono ben presto necessità.

Una volta divenuto dominante in una società, il modo di produzione industriale fornirà questo o quel bene di consumo, passerà da questa a quell'altra merce, ma non ammetterà limiti all'industrializzazione dei valori. Un simile processo di crescita esige dall'uomo una cosa assurda: trovare la propria soddisfazione nel piegarsi alla logica dello strumento.

Una società impegnata nella corsa allo star meglio sente come una minaccia l'idea stessa di una qualsiasi limitazione del progresso. È così che l'individuo che non cambia oggetti o terapie conosce il rancore del fallimento e chi ne cambia scopre la vertigine della carenza. Ciò che ha lo nausea, e ciò che vuole avere lo fa soffrire.

Nemesi medica
Medical Nemesis, 1976 - Selezione Aforismario

Durante le ultime generazioni il monopolio medico sulla cura della salute si è sviluppato senza freni usurpando la nostra libertà nei confronti del nostro corpo. La società ha trasferito ai medici il diritto esclusivo di stabilire che cosa è malattia, chi è o può diventare malato e che cosa occorre fargli.

L'impegno sociale di fornire a tutti i cittadini una massa pressoché illimitata di prodotti del sistema medico rischia di distruggere le condizioni ambientali e culturali necessarie perché la gente viva una vita di costante guarigione autonoma.

Il monopolio medico e paramedico sulla metodologia e sulla tecnologia dell'igiene è un esempio lampante del cattivo uso politico delle conquiste scientifiche, deviate a rafforzare la crescita industriale anziché personale. Questa medicina non è altro che un mezzo per convincere chi è stanco e disgustato della società, che in realtà è lui che è ammalato, impotente e bisognoso di riparazione tecnica.

La sofferenza, le disfunzioni, l'invalidità e l'angoscia conseguenti all'intervento della tecnica medica rivaleggiano ormai con la morbosità provocata dal traffico, dagli infortuni sul lavoro e dalle stesse operazioni collegate alla guerra, e fanno dell'impatto della medicina una delle epidemie più dilaganti nel nostro tempo.

L'istruzione intensiva fa dell'autodidatta un candidato alla disoccupazione, l'agricoltura intensiva elimina il contadino autosufficiente, lo spiegamento di polizia sgretola la capacità d'autocontrollo della comunità. La propagazione maligna della medicina ha risultati analoghi: trasforma l'assistenza reciproca e l'automedicazione in atti illeciti o criminosi.

Il dolore è diventato un problema di economia politica, il che scatena un processo a valanga: tramutato in consumatore di anestesia, l'individuo non può che chiedere sempre maggiori dosi di prodotti e servizi che gli procurino artificialmente insensibilità, stordimento, incoscienza.

Vivendo in una società che dà grande valore all'anestesia, tanto il medico quanto il suo potenziale cliente vengono rieducati a soffocare l'interrogativo inerente a ogni dolore. La domanda sollevata dall'intima esperienza dolorosa si tramuta in una vaga ansia che si può sottoporre a cura.

Quando tutta una società si organizza in funzione di una caccia preventiva alle malattie, la diagnosi assume i caratteri di una epidemia.

In una società anestetizzata occorrono stimoli sempre più forti perché si abbia il senso d'essere vivi.

L'ordinamento della società in favore della produzione tecnica di merci ha due aspetti sostanzialmente distruttivi: gli individui vengono educati a consumare anziché ad agire, e nello stesso tempo si restringe il loro raggio d'azione.

In una società così intensamente industrializzata, la gente è condizionata a RICEVERE le cose anziché FARLE; è educata ad apprezzare ciò che si può comprare e non ciò che essa stessa può creare. Vuol essere istruita, trasportata, curata, guidata, anziché apprendere, muoversi, guarire, trovare la propria strada.

Finché l'intervento tecnico nel rapporto fra gli individui e l'ambiente resta al di sotto di una certa intensità, per quanto riguarda il raggio della libertà d'azione dell'individuo, questo intervento può esaltare la capacità dell'organismo di affrontare e creare il proprio futuro. Ma al di là di un certo livello, la gestione eteronoma della vita, inevitabilmente, dapprima restringe, poi mutila e infine paralizza le reazioni importanti dell'organismo, e quella che voleva essere cura della salute si tramuta in una forma specifica di negazione della salute.

Disoccupazione creativa
Creative Disoccupation, 1977 - Selezione Aforismario

In tutte le società lo sviluppo ha avuto il medesimo effetto: ognuno si è trovato irretito in una nuova trama di dipendenza nei confronti di prodotti sfornati dal medesimo tipo di macchine: fabbriche, cliniche, studi televisivi, istituti di ricerca. Per appagare questa dipendenza bisogna continuare a produrre le stesse cose in quantità maggiori: beni standardizzati, concepiti e realizzati ad uso di un futuro consumatore già addestrato dall'agente del produttore ad aver bisogno di ciò che gli viene offerto.

L'attuale società industriale organizza la vita in funzione delle merci.

Tanto i bisogni quanto i desideri hanno assunto caratteristiche senza precedenti nella storia. Per la prima volta i bisogni coincidono quasi esclusivamente con delle merci.

La menomazione che, con l'egemonia delle professioni, colpisce il cittadino è consolidata dalla potenza dell'illusione. Le speranze di salvezza un tempo riposte nelle credenze religiose cedono il posto a una fiduciosa attesa nei confronti dello Stato, supremo dispensatore di servizi professionali.

[La crisi] può indicare l'attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all'improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa.

Nell'arco di una generazione il discorso dello sviluppo ha prodotto una metamorfosi della natura umana, trasformando "homo sapiens" in "homo miserabilis", l'uomo dipendente dai bisogni di merci e servizi industriali e svincolato dalle necessità culturalmente definite.

In ogni parte del mondo si vede dilagare quella disciplinata acquiescenza che caratterizza lo spettatore, il paziente e il cliente. Aumenta rapidamente la standardizzazione del comportamento umano.

Esperti di troppo
1977 (con AA. VV.)

Il passaggio da professione liberale a professione dominante è un processo che ricorda la proclamazione di una religione di Stato. I medici trasformati magicamente in «biocrati», gli insegnanti in «gnosocrati», i necrofori in «thanatocrati» sono più vicini ai cultori di una religione ufficiale che a delle associazioni professionali.

Quella che ci offre la società industriale è la versione più estrema del professionalismo: legioni di esperti che definiscono ciò di cui abbiamo bisogno, e ce lo impongono con le armi della manipolazione.

Genere
Gender, 1982

Non conosco società industriale in cui le donne siano economicamente eguali agli uomini. Di tutto ciò che l’economia può misurare, le donne ricevono sempre una porzione inferiore. 

Io credo che sia venuto il momento di buttare all’aria le strategie sociali, di riconoscere che la pace tra uomini e donne, qualunque forma possa assumere, presuppone la contrazione, e non l’espansione, dell’economia. 

Fonte sconosciuta
Il bene, per me, può essere soltanto un'altra persona. Che cos'altro potrebbe essere?

Non c'è distanza maggiore di quella tra un uomo in preghiera e Dio.

Renderci conto che possiamo praticare la rinuncia [...] costituisce, per molte persone che soffrono di grandi paure e di un senso di impotenza e di alienazione, un modo molto semplice per tornare a un sé che è al di sopra delle costrizioni del mondo.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Max Horkheimer - Herbert Marcuse - Karl Popper