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Frasi e citazioni di Franco Berrino

Selezione di frasi e citazioni di Franco Berrino (Fornovo di Taro, 1944), medico ed epidemiologo italiano, già direttore del Dipartimento di Medicina preventiva e predittiva dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Nel 2015 Franco Berrino ha fondato, con Enrica Bortolazzi e Luigi Fontana, l’associazione “La Grande Via”, la via della consapevolezza che la salute, fisica e spirituale, dipende dal cibo, dal movimento e dalla meditazione.
Le seguenti riflessioni di Franco Berrino sono tratte dai libri: Il cibo dell'uomo (2015), La Grande Via (2017), La via della leggerezza (2019), Manuale della longevità felice (2023).
Foto di Franco Berrino
A ogni età possiamo migliorare la nostra condizione, ma è di vitale importanza acquisire
corretti stili di vita sin da giovani e mantenerli senza interruzioni per il resto dell’esistenza.
 (Franco Berrino)

Il cibo dell'uomo
La via della salute tra conoscenza scientifica e antiche saggezze 
© Franco Angeli, 2015 - Selezione Aforismario

I medici oggi sono ricchissimi di conoscenze biologiche e farmacologiche, ma paradossalmente sembrano sapere sempre meno di nutrizione e hanno non poche responsabilità nell’impoverimento della nostra alimentazione ‘ricca’.

Da che mondo è mondo, l’uomo si è sempre scontrato con il problema della fame, ma solo da pochi decenni si sta scontrando con il problema di aver troppo da mangiare. La nostra fisiologia, quindi non è attrezzata per difenderci dall’obesità.

Di tutti i fattori che si sono dimostrati associati a un maggior rischio di cancro, quello più solidamente dimostrato è il sovrappeso.

La salute è il risultato della resilienza, della capacità di adattamento: al freddo, alla fame, al cibo diverso; ma oggi il cibo è molto diverso… sfida la nostra capacità di adattarci, c’è troppo cibo, cibo troppo concentrato, troppo trasformato, troppo innaturale.

Tutti possiamo agire per difenderci dall’ignoranza, dall’avidità e dall’arroganza, nostra e altrui. La strada è quella della consapevolezza (prendere coscienza delle cause delle cause) e dell’assunzione di responsabilità.

È necessario un reset. Riportiamo il nostro equilibrio metabolico a uno stato che renda difficile la vita alle cellule tumorali!

La felicità è adattarsi al flusso dei cambiamenti, senza opporsi, senza forzare,

La salute e la malattia dipendono da noi, l’infelicità dipende da noi. Averne coscienza ci aiuta a superare gli ostacoli.

Anche un cibo eccellente difficilmente ci farà bene se lo consumiamo senza gratitudine per chi lo ha coltivato, raccolto e preparato. E il cibo che ci prepariamo noi stessi con amore sarà il meglio per noi.

Amare il cibo, esserne grati, veicola il cambiamento. È nostro compito occuparci del contenitore della nostra anima, che desidera bellezza, semplicità e consapevolezza. Siamo consapevoli che quando mangiamo stiamo offrendo il cibo alla presenza che è in noi. Rendiamo sacro questo gesto.

La Grande Via
Alimentazione, movimento, meditazione per una lunga vita felice, sana e creativa
(con Luigi Fontana) © Mondadori, 2017 - Selezione Aforismario

In tutto il mondo le istituzioni scientifiche e sanitarie sono purtroppo chiamate a rispondere a leggi di mercato che hanno interesse a mantenerci in vita ma non in salute: non possiamo, per ora, contare su di loro per ridurre il rischio di ammalarci.

Ci sono sempre più prove scientifiche che indicano come opportune scelte nutrizionali e di esercizio fisico, associate a tecniche di training cognitivo, di respirazione e di meditazione, siano essenziali per rallentare i processi d’invecchiamento, favorire una longevità in salute, prevenire le malattie croniche tipiche della nostra era o facilitarne la guarigione.

Sebbene sia noto che l’ereditarietà genetica gioca un ruolo nell’amplificare il rischio di sviluppare determinate patologie e di morire precocemente, gli stili di vita sono molto più importanti.

Non esistono alimenti magici, pillole miracolose oppure speciali esercizi fisici o meditativi per garantire longevità e salute. Diffidiamo delle mode commerciali. Quello che conta è lo stile di vita complessivo.

Per ridurre il rischio di sviluppare il cancro dobbiamo mantenerci magri, con l’addome piatto, facendo esercizio fisico regolare e riducendo l’introito di calorie e proteine animali. Dobbiamo stare alla larga dal fumo, ridurre il consumo di alcolici (che deve essere occasionale), evitare i cibi ricchi di zucchero, farine e cereali raffinati, e pasteggiare con tante verdure, legumi e cereali integrali. Infine, se possiamo, stiamo alla larga dai luoghi inquinati!

A ogni età possiamo migliorare la nostra condizione, ma è di vitale importanza acquisire corretti stili di vita sin da giovani e mantenerli senza interruzioni per il resto dell’esistenza.

Gli esperimenti preclinici e clinici finora condotti dimostrano, senza ombra di dubbio, che la nutrizione bilanciata e salutare, l’allenamento fisico e cognitivo e la meditazione sono strumenti potentissimi per prevenire o rallentare l’accumulo di danno molecolare che sta alla base della degenerazione cellulare e tissutale, che culmina prima o poi nello sviluppo di complesse e debilitanti patologie croniche degenerative, sofferenza e morte prematura.

Per ottenere una felicità reale e durevole è essenziale mantenersi sani, mangiando in modo corretto e praticando una gamma di esercizi fisici, cognitivi e meditativi che potenzino la nostra forza e resistenza fisica e la nostra intelligenza emotiva, intuitiva e creativa.

La via della leggerezza
Perdere peso nel corpo e nell'anima (con Daniel Lumera) 
© Mondadori, 2019 - Selezione Aforismario

[Si] parla di una leggerezza che non è solo questione di peso corporeo e di massa grassa: si tratta piuttosto di una condizione esistenziale, che coinvolge mente, cuore e spirito. La leggerezza di chi sa vivere autenticamente; di chi non rimane attaccato al passato; di chi sa perdonare; di chi sa guarire le proprie ferite più profonde; di chi sa amare davvero; di chi vive nella gratitudine; di chi coglie ovunque la bellezza del creato, divenendone testimone consapevole; di chi sa leggere oltre le apparenze l’invisibile trama universale che conduce all’amore.

Siamo appesantiti. Nel corpo, nel girovita, nelle spalle, nei pensieri, nel vivere; dalla sofferenza, dalla noia, dalla mancanza di fiducia, di prospettive, dalla solitudine, dal non vedere il senso della vita.

Più che il disagio fisico, la pesantezza e i dolori del corpo, il troppo lavoro – oltre ai figli, al marito, ai genitori, ai suoceri – quello che appesantisce sono la fatica mentale, morale, il piombo delle preoccupazioni, dell’insoddisfazione.

La mancanza di sobrietà alimentare e di esercizio fisico sono alla base di patologie croniche come l’obesità e il diabete, a loro volta causa di malattie cardiovascolari, di molti tipi di neoplasie e di malattie neurodegenerative. Paradossalmente un po’ di fame e di fatica fisica, che il cervello vorrebbe farci evitare, possono mantenerlo sano ed efficiente fino all’età anziana.

Proteggiamo il nostro cervello. Difendiamolo dall’industria alimentare, dalla televisione e dal web che ci cattura in ore e ore di sedentarietà, dalla civiltà delle immagini e della pubblicità che ci distraggono continuamente dal pensare in modo autonomo. Guardiamoci dentro, domandiamoci chi siamo veramente, al di sotto di quello che gli altri – la società, il lavoro – ci chiedono di essere. E stabiliamo cosa vogliamo veramente, cosa vogliamo fare di noi, dove vogliamo andare.

La società dei consumi cresce se i consumi aumentano, muore se i consumi diminuiscono; deve quindi promuovere i consumi, fare in modo che i cittadini che ne fanno parte consumino. 

Chi è contento, chi è soddisfatto di quello che ha, consuma molto poco. L’insoddisfazione, la sofferenza morale, è funzionale al consumo. 

Il cibo spazzatura consola momentaneamente, ma non soddisfa, fa ingrassare, fa ammalare e aumenta l’insoddisfazione, in un circolo vizioso che appesantisce corpo e spirito.

Le cellule impazzite, le persone che non si adattano ai meccanismi omeostatici del sistema, le poche persone felici che non consumano sono tollerate se isolate, ma contrastate se cercano di far crescere la consapevolezza che siamo schiavi, che possiamo scegliere di vivere senza sottostare alle regole economiche.

Mangiamo sempre più cibo ultraprocessed, sterile e ultralavorato, per favorirne la conservazione e la distribuzione nei supermercati. È un cibo che costituisce dal 20 al 50% delle calorie consumate in media da noi occidentali, e più ne mangiamo più ingrassiamo, più sviluppiamo la sindrome metabolica e più ci ammaliamo di cancro.

Anche il nostro cibo spirituale è ultraprocessed, il cibo che otteniamo dai media è confezionato da interessi commerciali e controllato da interessi politici.

Privilegiamo il cibo naturale rispetto al cibo industriale, l’agricoltura naturale rispetto all’agricoltura industriale, la vita naturale rispetto alla vita artificiale che ci è imposta dalla civiltà industriale.

Il cibo in eccesso è, in molti casi, assunto come surrogato per mettere a tacere temporaneamente emozioni, percezioni e pensieri che non siamo in grado di gestire e affrontare.

La smania di consumo di cibo della società occidentale contemporanea non trova certamente le sue cause nella necessità dell’organismo di ricevere un surplus nutritivo. Mangiamo, il più delle volte, per stress, mancanza di affetto, solitudine, paura, inerzia, noia.

La scorpacciata diventa una forma di vizio e trasgressione per riempire vuoti esistenziali apparentemente incolmabili. In queste situazioni di disagio psicologico il cibo diviene la miglior “droga legale” di pronto consumo per sedarsi.

Quando non si hanno energia, consapevolezza e coraggio per affrontare determinate situazioni, relazioni o emozioni, il cibo può diventare uno straordinario strumento che fornisce immediata, seppur momentanea, gratificazione.

Il percorso di alleggerimento del grasso è innanzitutto un percorso di consapevolezza di se stessi e del proprio mondo interiore, un cambiamento del personale modo di pensare, sentire, vivere e assaporare non solo il cibo, ma anche le relazioni e l’esistenza. 

Il grasso spesso compensa un urgente bisogno di sicurezza: quella di aver accumulato nutrimento in grande quantità. E la sensazione può essere così riassunta: anche se dovessero finire le scorte nella stiva, ho accumulato viveri e riserve sufficienti per poter sopravvivere a un destino incerto.

Mettersi a dieta e ridurre le calorie giornaliere non è efficace: è necessario prendere consapevolezza e lavorare anche sul piano emotivo. 

Il primo passo fondamentale da compiere per vivere nella leggerezza è imparare a distinguere e acquistare consapevolezza dei propri reali bisogni e saperli soddisfare correttamente.

Chi è consapevole della propria morte tende naturalmente a eliminare il superfluo dalla sua vita ed è portato a rimanere nell’essenziale. La stessa intensità dovrebbe accompagnarci in ogni istante lungo il corso dell’esistenza.

L’essere umano è su questo pianeta per testimoniare la bellezza della vita. L’accesso a questa bellezza porta leggerezza e gioia nel cuore. Quando riconosciamo questo scopo, riusciamo come specie a cooperare con l’intelligenza e la vita presente in ogni cosa.

Manuale della longevità felice
© Solferino, 2023

Aggiungiamo vita agli anziani, ma questo formidabile aumento della durata della vita non è accompagnato da un aumento della qualità della vita: con l’aumento della durata della vita aumentano le malattie croniche, la disabilità e la demenza.

Non ci sono farmaci di dimostrata efficacia per prolungare la vita dell’uomo in salute. Il commercio di farmaci/integratori antiaging, tuttavia, ha già un mercato di più miliardi di dollari.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Silvio Garattini - Umberto Veronesi

Frasi di Manfred Spitzer sulla "demenza digitale"

Selezione di frasi e citazioni di Manfred Spitzer (Lengfeld, 1958), neuroscienziato, psichiatra e saggista tedesco. È stato visiting professor a Harvard e attualmente dirige la Clinica psichiatrica e il Centro per le Neuroscienze e l’Apprendimento dell’Università di Ulm. Ha detto di sé Manfred Spitzer:
"Per me è una necessità contribuire a lavorare per la comunità, il futuro, la libertà, occuparmi degli esseri umani e dei loro problemi reali, sostenere le iniziative di persone illuminate e critiche e impegnarmi per quanti non sono ancora in condizione di farlo, come i nostri figli, o non possono più farlo, come i malati e gli anziani. Sono questi i valori che ho ereditato dai miei genitori e che ho portato con me per tutta la vita". [Demenza digitale, 2012].
Le seguenti riflessioni di Manfred Spitzer sono tratte dai libri: Demenza digitale (2012), Connessi e isolati (2018), Emergenza smartphone (2018), Invecchiando si impara (2020).
Foto di Manfred Spitzer
I social media stanno ai rapporti interpersonali reali come i popcorn stanno alla sana
alimentazione: ci si aspetta di provare gioia tra amici,
e ciò che si ottiene in verità è solo aria fritta. (Manfred Spitzer)

Demenza digitale
Digitale Demenz, 2012 - Selezione Aforismario

Il cervello muta in continuazione; di conseguenza, il contatto quotidiano con i mezzi di comunicazione digitali non può non restare privo di effetti sugli utenti.

I numeri di telefono di parenti, amici e conoscenti sono salvati nel cellulare. Il navigatore satellitare ci indica il tragitto per raggiungere un certo luogo. Gli appuntamenti della vita professionale e privata sono inseriti nel cellulare o su un’agenda digitale. Chi cerca informazioni va su Google; foto, lettere, e-mail, libri e musica sono nel cloud (la «nuvola»). Pensare, memorizzare, riflettere non costituiscono più la norma.

I nuovi mezzi di comunicazione hanno un potenziale di dipendenza come l’alcol, la nicotina e altre droghe. In molti paesi la dipendenza da computer e da Internet è ormai un fenomeno frequente, con conseguenze devastanti per chi ne è colpito. 

L’utilizzo del cervello porta alla crescita delle aree cerebrali responsabili di una determinata funzione. Potremmo dire che in sostanza il cervello è come un muscolo: se viene utilizzato, cresce, altrimenti si atrofizza.

Oggi sappiamo che il nostro cervello non è solo l’organo più complesso, bensì anche il più dinamico del nostro organismo. Il cervello si modifica in base all’utilizzo. Se il cervello non viene utilizzato, l’hardware neuronale viene smantellato.

I computer elaborano informazioni, come gli esseri umani che imparano. Da qui si deduce erroneamente che i computer siano strumenti ideali di apprendimento. Invece, proprio per il fatto di sottrarci il lavoro mentale, i computer, tanto decantati alla fiera dell’istruzione «Didacta», non sono adatti per imparare meglio.

Oggi il copia e incolla è una funzione così diffusa che neppure ci ricordiamo come si faceva in passato a scrivere una lettera o un libro senza tale possibilità. 

In passato i testi venivano letti, ora vengono scorsi, ovvero sfogliati velocemente. Prima si scavava in un argomento, oggi si naviga in rete (ovvero «si scivola» sui contenuti).

L’anonimato della rete provoca una riduzione dell’autocontrollo e una corrispondente diminuzione dello sforzo per mantenere un comportamento sociale adeguato. 

Chi non ha ancora avuto l’occasione di sviluppare un comportamento sociale e fin da bambino o da ragazzo instaura gran parte dei propri contatti sociali in rete, vale a dire costruisce la propria sfera sociale nel mondo virtuale, corre il rischio di non acquisire una competenza sociale adeguata.

Internet è costellata di fallimenti sociali: fingere di essere un altro, truffare, fino ai comportamenti criminali veri e propri. In rete si può mentire, perseguitare, spillare soldi, essere aggressivi, diffamare e calunniare senza limiti. Non deve quindi sorprendere se i social network provocano nei giovani utenti solitudine e depressione.

I fattori di stress principali della nostra società sono la mancanza di autoregolazione, la solitudine e la depressione, i quali provocano la morte neuronale e sul lungo periodo favoriscono lo sviluppo della demenza. 

Nei nostri bambini la sostituzione dei contatti umani reali con i network digitali può provocare una riduzione del cervello sociale. Corriamo il pericolo che Facebook & Co. riducano il cervello sociale globale. 

Chi desidera che i propri figli diventino matematici o informatici, dovrebbe offrire loro giochi con le dita anziché computer portatili negli asili. E chi prende sul serio la lingua scritta, dovrebbe chiedere matite anziché tastiere.

I media digitali ostacolano la capacità di autocontrollo e provocano stress. Chi vuole imporre l’uso di strumenti digitali negli asili o nella scuola elementare deve tenerne conto.

La demenza digitale si caratterizza sostanzialmente per la crescente incapacità di utilizzare e di controllare appieno le prestazioni mentali, ossia di pensare, volere, agire, di sapere che cosa accade, dove ci troviamo e, in ultima analisi, chi siamo. 

I media digitali riducono l’uso del cervello e, quindi, il rendimento. Nei giovani i media impediscono anche la formazione del cervello; il rendimento mentale rimane così sotto la media fin dall’inizio. 

Proprio perché i media digitali ci accompagnano oggi giorno dalla culla alla bara, diventa sempre più difficile vedere chiaramente l’effetto che hanno su di noi.

Un politico che faccia affermazioni critiche nei confronti dei media viene demonizzato dai media stessi. Lo sanno tutti, e per questo non succede niente.

Ci abituiamo relativamente in fretta a tutto ciò che mette in moto i nostri centri della felicità. L’eccezione più importante: il prossimo. Un sorriso, una bella chiacchierata, un pasto insieme, una piccola attività in comune: è questo ciò che rende la nostra vita piena e appagante. Una cena con tre amici dà molta più felicità ed è molto più efficace di trecento contatti virtuali su Facebook.

Non abbiamo niente, a parte le menti della prossima generazione, se teniamo al nostro benessere e al mantenimento della nostra cultura. Smettiamo di riempirle costantemente di spazzatura!

Connessi e isolati
Einsamkeit, 2018 - Selezione Aforismario

Buona parte della popolazione del mondo «occidentale» soffre sempre più di solitudine. Da decenni si vive in nuclei familiari sempre più piccoli e non si dà alla comunità lo stesso valore di prima.

Dobbiamo dedicare alla solitudine un’attenzione maggiore di quanto siamo abituati a fare, perché per il singolo individuo è molto più pericolosa di altre malattie mortali. È infatti vero che per aumentare la propria speranza di vita nulla è più sano della partecipazione attiva a una comunità di persone. 

I bambini vengono educati sempre meno alla socializzazione, mentre si stimola sempre più un egocentrismo smisurato: fenomeni diffusi sono lo you are so very special all’asilo, le teenager-star nei vari media, che sono famose per essere famose, e la valanga di selfie che i giovani pubblicano ogni giorno su internet. 

A produrre stress non sono tanto le esperienze spiacevoli, quanto il sentimento di impotenza. Quando ci rendiamo conto di non aver alcun controllo sulla nostra vita, soffriamo di stress cronico.

Possiamo ridurre lo stress cronico attraverso l’interazione con il nostro prossimo. Se al contrario conduciamo una vita ritirata e viviamo una perenne condizione di solitudine, il nostro stato ci porterà a sviluppare patologie croniche.

La comunicazione, i legami e la comunità sono per l’uomo tra le fonti principali di benessere. Contrariamente alle aspettative, l’uso di Facebook e di altri social media porta tuttavia a un livello più basso di soddisfazione nella vita; la fiducia reciproca svanisce, mentre crescono la depressione e la solitudine.

I social media stanno ai rapporti interpersonali reali come i popcorn stanno alla sana alimentazione: ci si aspetta di provare gioia tra amici, e ciò che si ottiene in verità è solo aria fritta.

Chi, per motivi di «efficienza», trascorre il proprio tempo sui social network invece di incontrare le persone «dal vivo», deve sapere che in questo modo sta mettendo a rischio la propria soddisfazione e, in ultima istanza, la felicità.

I tanti, piccoli incontri reali con persone spesso assolutamente sconosciute sono il collante che tiene insieme non solo la nostra vita, ma anche la nostra società. 

Contro ogni aspettativa, i social network non aumentano la quantità e qualità dei nostri contatti, ma ci rendono più soli. È un fatto dimostrato.

Dipendenze, depressione, nonché alcune forme di demenza e molte psicosi sono acutizzate dalla solitudine e la favoriscono a loro volta. Per questo, partecipazione sociale e vita di comunità sono elementi importanti della prevenzione e della terapia psichiatrica.

È un peccato che oggi negli asili e nelle scuole si canti e si suoni meno di prima, come è un peccato che nella maggior parte delle società sviluppate i «balli di gruppo» abbiano perso il valore che avevano nelle società semplici (primitive), o infine che l’egoismo sia diventato per molti una norma di comportamento del tutto naturale.

Emergenza smartphone
Die Smartphone Epidemie, 2018

Chiamare epidemia la diffusione degli smartphone è giustificato dalla quantità di danni che il loro uso provoca sulla salute di coloro che ne fanno uso.

Le persone sono esseri sociali e sono davvero felici solo all’interno di una comunità. I media elettronici, e soprattutto gli smartphone, ci separano più di quanto ci uniscano: è un dato su cui dobbiamo riflettere seriamente.

Che i dispositivi digitali siano oggi pubblicizzati come i più moderni toccasana esistenti è un po’ come se in ambito medico s’iniziasse a raccomandare lo zucchero come nuovo rimedio miracoloso, solo perché lo zucchero può in effetti far bene in alcuni casi d’emergenza (per esempio a un diabetico con un forte stato di ipoglicemia).

I media digitali compromettono lo sviluppo dei bambini non solo quando sono i bambini stessi a farne uso, ma anche quando sono i genitori a usarli mentre badano ai loro figli.

Chi promuove scriteriatamente la digitalizzazione facendo leva sulla paura non sta rendendo un buon servizio alla sua stessa causa. Ogni volta che un’innovazione viene introdotta è necessario soppesarne tanto gli effetti desiderati quanto i rischi e gli effetti collaterali.

Invecchiando si impara
Wie wir denken und lernen, 2020 (con Norbert Herschkowitz)

L’apprendimento permanente non è uno slogan che non corrisponde a nulla, ma è un fenomeno reale. È da adulti, infatti, che impariamo le abilità fondamentali per svolgere numerose funzioni e attività.

Cercare la compagnia delle altre persone – che siano giovani o in età avanzata – è la cosa migliore che un anziano possa fare per il suo benessere. Subito dopo viene il movimento. Il miglior allenamento mentale è l’allenamento fisico.

Usate il cervello, leggete, tenetevi aggiornati sugli eventi di attualità, interessatevi alle altre persone: è fondamentale mantenere vivi la curiosità e il desiderio di imparare.

Da vecchi si può essere felici – come del resto è la maggior parte delle persone anziane – oppure si può essere scontrosi e passare il tempo a lamentarsi perché non si hanno più vent’anni. Sappiate però che, così facendo, vivrete male e meno a lungo.

Note
Vedi anche frasi e citazioni di: Wilhelm Schmid 

Frasi e citazioni di Paolo Mieli

Selezione di frasi e citazioni di Paolo Mieli (Milano, 1949), giornalista, saggista, conduttore televisivo e opinionista italiano, direttore de La Stampa dal 1990 al 1992 e del Corriere della Sera dal 1992 al 1997 e dal 2004 al 2009. Il giornalista Claudio Rinaldi ha così definito lo stile giornalistico di Paolo Mieli:
"Inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa; attenzione a tutto quanto è televisivamente popolare e popolarmente televisivo; suggestioni perlopiù antiretoriche, non di rado articolate attraverso disseminazioni di dubbi su mitologie consolidate; apparente leggerezza; allegra e spavalda disponibilità al gossip (vulgo: "pettegolezzo"), quindi al divertente, all'eclettico, al frammentario; visione conflittuale della realtà, con conseguente sottolineatura di 'casi', 'polemiche', 'duelli' e, quando possibile, spargimento di polpettine di zizzania destinate soprattutto a uomini politici e intellettuali che si prendono troppo sul serio; culto del dettaglio, ancora, talvolta tirato fino all'estremo limite, e cioè ben oltre la vicenda in cui esso dettaglio s’inscriverebbe". [La Stampa,  1997].
La maggior parte delle seguenti riflessioni di Paolo Mieli sono tratte dai libri: Storia e politica (2001), L'arma della memoria (2015), In guerra con il passato (2016), Lampi sulla storia (2018), La terapia dell'oblio (2020). 
Foto di Paolo Mieli
La pacificazione con il passato ci impone di riconoscere gli errori di qualunque parte
e soprattutto di non andare a cercare nella storia antefatti
alle prospettive politiche del tempo presente. (Paolo Mieli)

Storia e politica
Novecento secolo delle tenebre © Rizzoli, 2001

L’espressione «disfarsi della memoria» è considerata alla stregua di una bestemmia. Sono ancora troppo recenti i lutti del secolo che si è appena concluso: chi vuole smettere di ricordare, abbandonarsi all’oblio, è guardato con sospetto.

L’oblio ha una sua nobiltà, un suo posto nella storia dei miti e della grande letteratura per cui non può essere ridotto a contraltare abietto del ricordare.

L'arma della memoria
Contro la reinvenzione del passato © Rizzoli, 2015

L’onesto uso della memoria è il più valido antidoto all’imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che, in quanto tale, presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso.

Diffuso, purtroppo, è il ricorso a forzature della memoria come arma per farci tornare i conti nel presente. Un’arma usata con infinite modalità di manipolazione che producono danni quasi irreparabili alla coscienza storica generale, deformano il passato, intossicano il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. E che, come tale, merita di essere combattuto.

L’arma principale che si è infiltrata nel dibattito storiografico (allargato alle discussioni giornalistiche) è, da tempo, il complottismo. Cioè la pretesa di modificare i termini della discussione con l’inserimento di tesi suggestive ancorché indimostrabili. 

Infinite sono le leggi che regolano lo studio del tradimento nella storia. Ma due sono superiori alle altre. La prima: chi vince non verrà mai considerato un traditore. La seconda: il tradimento è questione di date, ciò che oggi è considerato un tradimento, domani potrà essere tenuto nel conto di un atto coraggioso.

In guerra con il passato
Le falsificazioni della storia © Rizzoli, 2016

La guerra contro il passato è la più praticata ma anche la più stupida di tutte le guerre. È una forma di belligeranza, peraltro mai dichiarata, che si propone di frantumare la storia, semplificarla, smontarne la complessità così da rendere gli accadimenti dei tempi remoti adattabili alle categorie e alle esigenze del presente.

Manipolazione e contraffazione sono le armi più comuni con le quali si combatte questa guerra al passato.

A cosa porta questa guerra contro il passato? A confondere le idee sul presente. 

La memoria è considerata l’unica «promessa di permanenza» a nostra disposizione. È attraverso la memoria che cerchiamo di riconciliarci con il nostro passato, con il mondo che abbiamo perduto e con le tracce misteriose che conservano il segreto della nostra identità.

È la memoria che in un certo senso «rende il presente a se stesso» e ci permette di preparare l’avvenire. Siamo infatti costretti a confrontarci con la nostra incapacità di anticipare il futuro.

È una torsione storiografica foriera di divisioni considerare il passato come qualcosa di stabilito, anche solo a grandi linee, una volta per tutte.

Se vogliamo essere in pace con il passato dobbiamo essere disposti a rivedere qualcosa di importante, anche pezzi della memoria collettiva a cui siamo legati. 

La pacificazione con il passato ci impone di riconoscere gli errori di qualunque parte e soprattutto di non andare a cercare nella storia antefatti alle prospettive politiche del tempo presente. 

Il caos italiano
Alle radici del nostro dissesto © Rizzoli, 2017

Mai come oggi la politica italiana sembra in preda a una paralisi. Da anni i partiti sono impegnati in una continua campagna elettorale, con l’unico scopo di minare la legittimità degli avversari e allo stesso tempo lasciare aperte le porte a tutte le alleanze possibili.

Lampi sulla storia
Intrecci tra passato e presente © Rizzoli, 2018

Il presente si modifica in continuazione, e per questo siamo indotti a guardare al passato da angoli visuali sempre nuovi, spesso sollecitati anche dalla scoperta di documenti inediti. Fin qui tutto normale. Ma succede che i «nuovi angoli visuali» inducano a deformare – magari inavvertitamente – il passato stesso.

Si deve saper rinunciare a mettere la propria comunità in condizione di riaprire antiche ferite. È un esercizio complicato quello di tenere fermo il giudizio sul passato, anzi di renderlo ogni giorno più denso di valori e, a un tempo, di imparare a rispettare il passato stesso in tutta la sua complessità. 

Far funzionare una ben mirata legge dell’oblio. Oblio che non deve equivalere a una sciatta dimenticanza che metta torti e ragioni del passato sullo stesso piano, bensì a non far riproporre quei torti e quelle ragioni nelle contese del presente. 

La terapia dell'oblio
Contro gli eccessi della memoria © Rizzoli, 2020 - Selezione Aforismario

Oggi più che nel passato il ricordo si intreccia in modo eccessivo con il presente. Si intreccia cioè con quello in cui «crediamo» nel momento in cui formuliamo le nostre ipotesi sul passato. In aggiunta, ciò avviene in molti casi, anzi quasi sempre, senza che ce ne rendiamo conto. Tale aggrovigliamento tra passato e presente ci intossica. E ci impedisce di porre dei punti fermi che consentano, all’occorrenza, di voltare pagina.

Dovremmo tenere meglio separati il passato e il presente. E far sì che tutto quel che scopriamo (o ci sembra di scoprire) del passato non sia immediatamente inghiottito dal caos delle nostre «menti impegnate». 

Quando si hanno idee forti sul presente, è pressoché inevitabile che quelle idee si impongano sulle interpretazioni del passato. 

O impariamo noi stessi a selezionare, archiviare e magari almeno in parte dimenticare quel che è stato, oppure lo dimenticheremo lo stesso in modo caotico, malato, dannoso per le nostre menti. Per questo, anche per questo, necessitiamo tutti di imparare ad autosomministrarci, sapientemente, una dose di oblio.

L’Italia è un paese unico nel non esser capace di consegnare il passato agli storici. Ci sentiamo quasi obbligati a riproporlo ossessivamente annodato alle passioni del presente. E non riusciamo mai a chiudere un capitolo una volta per tutte. 

È da oltre duemila anni che nel mondo si combattono le diseguaglianze. Tutti coloro che sono favorevoli a una sempre maggiore perequazione economica farebbero bene, però, a ricordare che, con rare eccezioni, la perequazione stessa è stata sempre ottenuta al prezzo di enormi sofferenze.

Le due guerre mondiali sono state tra le più grandi livellatrici della storia. La distruzione fisica provocata dalla guerra su scala industriale, la tassazione confiscatoria, l’interruzione dei flussi globali di beni e capitali, in aggiunta ad altri fattori, contribuirono a spazzar via la ricchezza delle élite e redistribuire le risorse.

Il secolo autoritario
Perché i buoni non vincono mai © Rizzoli, 2023

Il Novecento può essere definito il secolo autoritario. Anzi, il secolo autoritario per antonomasia. C’è stato un tempo, tra l’estate del 1939 e quella del 1941, in cui l’intera Europa (eccezion fatta per la Gran Bretagna e pochissime altre realtà) si ritrovò a vivere sotto un regime dittatoriale. Dittature di destra o di sinistra, ma pur sempre tirannidi.

L’idea che fosse impossibile governare i popoli senza una dose robusta di autoritarismo era antica di millenni, quasi connaturata al principio stesso del comando. Solo negli ultimi due o tre secoli avevamo potuto immaginare di lasciarci alle spalle l’esercizio dispotico del potere e riprendere dall’antichità altri fili che ci avrebbero consentito di tessere una tela diversa.

Note
Leggi anche le citazioni dei giornalisti e saggisti italiani: Corrado AugiasVittorio FeltriGiordano Bruno Guerri

Frasi e citazioni di Carlo Calenda

Selezione di frasi e citazioni di Carlo Calenda (Roma, 1973), ex dirigente d'azienda e politico italiano. 
"Al centro del mio pensiero c’è sempre stata l’idea illuminista che l’istruzione è la risposta a tutti i mali. Nelle società liberali sono gli individui con le loro scelte politiche, di vita e di consumo, a determinare la direzione di marcia. Se siamo consumatori di cultura, in quanto cittadini istruiti, allora l’economia premierà chi fa cultura".
Le seguenti riflessioni politiche di Carlo Calenda sono tratte dai libri: Orizzonti selvaggi (2018), I mostri e come sconfiggerli (2020) e La libertà che non libera (2022).
Foto di Carlo Calenda
In Italia le carriere dei leader politici sono diventate molto simili a quelle delle celebrities
(e seguono la stessa veloce parabola). (Carlo Calenda)

Orizzonti selvaggi
Capire la paura e ritrovare il coraggio © Feltrinelli, 2018 - Selezione Aforismario

Molte certezze che hanno accompagnato le ultime generazioni di progressisti si sono sgretolate. Viviamo in un’epoca in cui il futuro è diventato il luogo della paura piuttosto che della speranza.

Compito della politica non è esorcizzare la paura ma comprenderla e affrontarla. Per farlo occorre innanzitutto offrire protezione dalle ingiustizie del presente e poi gestire le transizioni verso il futuro.

Gli elettori votano secondo le loro priorità e il loro metro di giudizio. E la capacità di rappresentare idee, inquietudini e speranze è da sempre il primo motivo di scelta per un cittadino che si reca alle urne.

Nelle democrazie occidentali, la distanza tra politica e arte di governo è stata ormai assunta dai cittadini come dato di fatto. La politica è diventata per noi “un’altra cosa”, l’arte della ricerca del consenso. 

Il paradosso è che la politica è diventata più ideologica proprio quando sembravano morte le ideologie, perché ha assunto dalla teoria economica un pensiero diventato rapidamente dogma.

I populisti prevalgono, pur rimanendo inconsistenti sul piano delle proposte, perché riconoscono le paure contemporanee, mentre i progressisti hanno venduto e continuano a vendere le meraviglie di un futuro lontano.

I movimenti populisti vincono perché rivendicano il ruolo della politica nel proteggere i cittadini da quello che è stato presentato come ineluttabile, si occupano delle paure contingenti, e rappresentano una precisa scelta di campo contro il potere economico.

Riannodare un rapporto profondo ed empatico di rappresentanza con la società attraverso un pensiero nuovo che abbia al centro l’uomo, le sue passioni e le sue inquietudini, piuttosto che la tecnica, è l’unica strada perseguibile per sconfiggere i populismi. Non esistono scorciatoie.

L’idea che la tecnica intesa come capacità di mettere in atto politiche predeterminate dalla teoria economica possa rimpiazzare la politica è una delle ragioni del declino delle liberaldemocrazie e delle classi dirigenti politiche tradizionali.

Apertura vs nazionalismo. Modernità vs tradizione. Civiltà vs cultura. Le contrapposizioni di ieri sono quelle di oggi perché rappresentano altrettante contraddizioni dell’animo umano, che in un mondo secolarizzato, globalizzato e dominato dalla tecnica diventano ancora più esplosive.

La politica non deve credere di poter sostituire la rappresentanza con la competenza e le idee con la tecnica. La retorica dell’impopolarità delle scelte giuste è una contraddizione del principio democratico e un’abdicazione del ruolo della politica. Compito della politica è far diventare popolari le scelte giuste.

Abbiamo investito nel potenziamento della tecnica molto più di quanto abbiamo investito nel potenziamento dell’uomo, pensando che le due cose coincidessero. Non è così. Il rapporto tra uomo e progresso tecnologico è cambiato radicalmente: alla crescita dell’uno corrisponde una marginalizzazione e alienazione dell’altro.

Se la globalizzazione ha messo in crisi l’idea della società aperta dal punto di vista economico, l’aumento dei flussi migratori l’ha definitivamente affondata sul piano politico e culturale.

Il racconto semplificato di una società multiculturale come se fosse una serata in un ristorante fusion, anziché un fenomeno complicatissimo da governare, ha generato un profondo malcontento, in particolare nelle classi svantaggiate che con i migranti si sono trovate a convivere, e spesso a combattere, per accedere a scuola, sanità, lavoro e casa. 

Davanti alle immani difficoltà che pone l’integrazione, in particolare in società demograficamente vecchie e perciò meno propense al cambiamento, descrivere chi ha paura come un razzista ha l’effetto di radicalizzare l’opinione pubblica nel rifiuto dei migranti. 

Viviamo nelle società più sicure di sempre ma il senso di insicurezza non è mai stato così diffuso.

Semplificando: un progressista ha come obiettivo la crescita della società, un liberista l’aumento della libertà economica, un nazionalista il mantenimento dell’identità.

L’obiettivo dei progressisti è quello di trovare il giusto punto di equilibrio tra libertà, società e identità che garantisca la spinta verso “quell’essere di più” che valorizza l’uomo quando persegue uno “sviluppo umano integrale”.

Esiste una ovvia correlazione tra paura del futuro (e del presente) e mezzi intellettuali di cui disponiamo per affrontarlo.

Non esistono più competenze che una volta acquisite bastano per affrontare una vita intera. Un processo di formazione continua è dunque il più importante ammortizzatore sociale di cui dovremmo disporre.

Se non hai i mezzi per essere nel cambiamento, cerchi tutti gli strumenti per fermarlo.

Il futuro si è trasformato nel luogo delle paure perché il mondo è diventato molto più complesso e ha raggiunto una velocità di cambiamento che supera le capacità trasformative della società e quelle culturali dell’uomo.

Cultura, arte e la bellezza hanno un ruolo potenzialmente fondamentale. Rappresentano uno dei pochissimi residui di “trascendenza” rimasti.

Dobbiamo investire sull’uomo almeno tanto quanto stiamo investendo sulla tecnologia e sulla scienza. Cultura e tecnica devono tornare a muoversi alla stessa velocità.

Dobbiamo assumere come prospettiva la crescita della società rispetto alla crescita dell’economia. Ricostruire in modo innovativo un senso di comunità è lo sforzo a cui siamo chiamati. Cultura e comunità sono gli antidoti alla disumanizzazione.

I tre pilastri dell’umanesimo liberale – diritti, libertà economica e progresso – reggono se le fondamenta umane sono solide e la paura trova risposte adeguate.

I mostri e come sconfiggerli
© Feltrinelli, 2020 - Selezione Aforismario

L’Italia è l’anello fragilissimo di un Occidente fragile. Una fragilità derivante da quasi cinquant’anni di malanni diventati cronici.

Il rischio del ritorno del fascismo non esiste, quello dell’involuzione verso una democrazia illiberale sì.

Quando i cittadini sentono in pericolo il proprio futuro e persino la propria vita, ogni appello retorico al valore della democrazia risulta inutile. In questi momenti, o la democrazia dimostra davvero di saper funzionare o perisce.

Il più concreto e reale pericolo per l’equilibrio democratico è rappresentato da chi cerca continuamente di portare lo scontro politico sul piano del pericolo democratico, e al contempo si oppone a ogni rafforzamento delle istituzioni democratiche.

Salvare la democrazia dai democratici è il compito più difficile. 

Nel corso del tempo la politica, incalzata da appuntamenti elettorali sempre più serrati, da un contesto più mediatizzato, da un mondo di cui domina sempre meno direttamente i processi di cambiamento, è spinta a promettere di più, riuscendo però a mantenere di meno.

L’idea di una società dei diritti senza doveri prende piede. Il diritto alla ricerca della felicità si trasforma nel diritto alla felicità.

Un uomo saggio e colto, privo di ogni esperienza o sensibilità per i processi di trasformazione della realtà, può essere un ottimo intellettuale ma ben difficilmente sarà anche un buon uomo di governo.

Ogni estremizzazione o semplificazione del confronto politico (bene vs male), ogni categorizzazione degli elettori (buoni vs cattivi, fascisti vs antifascisti, ignoranti vs colti ecc.) conduce alla vittoria della politica che si pone come pura rappresentanza degli istinti.

La politica competente potrà generare fiducia solo rafforzando la promessa di “servizio”, rispetto alla pretesa di essere guida. 

La libertà che non libera
Riscoprire il valore del limite © La nave di Teseo, 2022 - Selezione Aforismario

A partire dagli anni ottanta l’unico perno della nostra civiltà è diventato l’individuo e la sua ricerca di illimitata libertà e di crescente appagamento materiale. Abbiamo conseguentemente deciso che questi sono gli unici moventi delle azioni umane. Ma quando i rischi sono globali, una società fondata solo su consumi e diritti individuali diventa fragile, divisa e disarmata.

La nostra vita ha come unico scopo la “ricerca della felicità”, e più recentemente “il diritto alla felicità”, eppure, nonostante un’epoca di benessere senza precedenti, riusciamo sempre meno a conseguirla. Abbiamo bisogno di ristabilire dei limiti, di riattivare la forza connettiva degli obblighi morali, anche per essere felici individualmente.

La realtà è sempre controversa, così come la politica che serve a cambiarla. La pretesa di superiorità morale è utile come bandiera solo per chi la pratica.

Quando cadono tutte le certezze, si cercano nuovi e semplici punti di riferimento. Ieri un sistema ideologico incarnato da un uomo forte, oggi, in una società individualizzata, un uomo forte e basta.

Rimanere autorevole quando sei un personaggio pubblico è difficilissimo. In un’arena virtuale affollatissima, dove si combatte per trenta secondi di attenzione, la tentazione di comportarsi come un influencer è quasi irresistibile.

Più aumenta la capacità del progresso di forzare i limiti dell’ordine naturale, più toccherà a noi stabilire i limiti di ordine morale. Limiti umani e come tali non immutabili.

In Italia le carriere dei leader politici sono diventate molto simili a quelle delle celebrities (e seguono la stessa veloce parabola).

Le decisioni elettorali sono passate dalla sfera pubblica a quella personale. Non si vota un leader perché è bravo, coerente, serio o competente e può fare il bene pubblico; lo si vota perché rispecchia il nostro stato d’animo in un dato momento. I leader rappresentano un individuale e mutevole stile di consumo.

Velocità, cambiamento, innovazione; il nostro non è davvero un mondo adatto ai vecchi. 

Non vi è dubbio che un tratto fondamentale del nostro tempo è il giovanilismo. E da qui scaturisce il paradosso di cercare politici in forma ma ignoranti, pronti alla battuta ma incapaci di un ragionamento. Li vogliamo nuovi più che esperti. Talmente nuovi da essere chiaramente inadatti per svolgere il lavoro di governo.

Non occuparsi di politica è immorale. La partecipazione alla vita pubblica è un obbligo morale e un dovere civico.

La cultura di governo è un sano limite alla tendenza della politica di trasformarsi in rumore, perché presuppone la capacità di spiegare come realizzerai quanto prometti.

Oggi sembra che l’unico modo che ha un movimento politico per mostrare la sua specificità sia prendere una linea rumorosamente “contro”.

La frenetica dimensione mediatica impone la necessità di lanciare continuamente una proposta che possa ambire a diventare virale. Il rapido logoramento delle leadership politiche dipende anche da questo.

La politica degli slogan può permettersi di non spiegare nulla, tanto poi c’è sempre tempo per cambiare idea una volta arrivati al governo, se le circostanze lo richiederanno.

C’è solo una rivoluzione che l’Italia ha accuratamente evitato di intraprendere: quella della serietà e del riconoscimento della responsabilità. 

Note
Leggi anche le citazioni dei politici italiani: Marco CappatoAlessandro Di BattistaMatteo Renzi

Frasi e citazioni di James Lovelock su "Gaia"

Selezione di frasi e citazioni di James Lovelock (Letchworth, 1919 - Abbotsbury, 2022), chimico, scienziato, inventore e saggista britannico, noto soprattutto per aver formulato l'ipotesi Gaia, che descrive il pianeta Terra, con tutte le sue funzioni, come un unico superorganismo. Con le parole dello stesso James Lovelock:
"La parola Gaia mi serve a indicare la mia ipotesi che la biosfera sia un’entità autoregolata, che stabilisca le condizioni materiali necessarie per la propria sopravvivenza e che la materia vivente non rimanga passiva di fronte a ciò che minaccia la sua esistenza. A volte, detto in parole povere, è stato difficile evitare di parlare di Gaia come se fosse notorio che essa è «sensibile»".
Le seguenti riflessioni di James Lovelock sono tratte dai libri: Gaia (1979), Guarire Gaia (1991), La rivolta di Gaia (2006) e Novacene (2019).
Foto di James Lovelock
Gli umani sulla terra si comportano per certi versi come un organismo patogeno, o come
le cellule di un tumore. Siamo cresciuti così tanto in termini di numeri e disturbi arrecati
a Gaia che la nostra presenza è diventata sensibilmente molesta. (James Lovelock)

Gaia
Gaia. A New Look at Life on Earth, 1979 - Selezione Aforismario

L’intera gamma della materia vivente sulla Terra, dalle balene ai virus e dalle querce alle alghe, potrebbe essere considerata come costituente una singola entità vivente, capace di manipolare l’atmosfera terrestre per le proprie necessità globali e dotata di facoltà e poteri superiori di molto a quelli dei suoi singoli costituenti.

Si potrebbe dire che la vita è uno di quei processi che si incontrano quando c’è un abbondante flusso di energia. Essa è caratterizzata dalla tendenza a modellarsi o formarsi man mano che consuma, ma per far ciò deve sempre eliminare prodotti di rifiuto nell’ambiente circostante.

Quello che di eccezionale la ricerca spaziale ha provocato non è nuova tecnologia, ma la possibilità per la prima volta nella storia dell’uomo di vedere la Terra dallo spazio, e le informazioni acquisite dalla visione dall’esterno del nostro pianeta verde-azzurro nella sua bellezza totale, le quali hanno fatto sorgere un insieme di nuove domande e risposte.

La vita su questo pianeta è un’entità molto solida, robusta e adattabile e noi siamo soltanto una piccola parte di essa.

Noi siamo indubbiamente una parte vivente di una strana e bella anomalia nel nostro sistema solare. 

Forse la prima cosa che viene alla mente sull’uomo moderno per giustificare la credenza secondo cui egli è incline al male, è l’aumento dell’inquinamento atmosferico e idrico del nostro pianeta.

Può l’inquinamento essere considerato naturale? Se per inquinamento noi intendiamo lo scarico di materiali di rifiuto, vi è davvero ampia prova che l’inquinamento è naturale per Gaia quanto la respirazione lo è per noi e per moltissimi altri animali. 

Il concetto stesso di inquinamento è antropocentrico e può perfino essere inappropriato nel contesto di Gaia. Molti cosiddetti inquinanti sono presenti in Natura, e diventa estremamente difficile sapere a quale livello la definizione di «inquinante» può essere giustificata.

Si può conseguire una tecnologia concreta ed economica e mantenere una migliore armonia con il resto della Terra. Credo sia più probabile raggiungere questo obiettivo mantenendo, modificandola, l’attuale tecnologia, che non mediante una campagna reazionaria di «ritorno alla natura».

In un mondo «gaiano» la nostra specie, con la sua tecnologia, è semplicemente un’inevitabile parte della scena naturale.

La proprietà più importante di Gaia è la tendenza ad ottimizzare le condizioni per tutta la vita sulla Terra. Se non abbiamo interferito gravemente con la sua capacità ottimizzatrice, tale tendenza dovrebbe essere ora tanto predominante quanto lo era prima della comparsa dell’uomo.

L’ignoranza delle possibili conseguenze delle nostre azioni è così grande che è quasi escluso che si possano fare utili previsioni sul futuro. 

La popolazione non aumenta dappertutto, l’industria è molto più cosciente dei propri effetti sull’ambiente e vi è soprattutto una crescente consapevolezza della nostra situazione. Si potrebbe dire che la diffusione delle informazioni sui nostri problemi sta conducendo allo sviluppo di nuovi procedimenti per porli sotto controllo, se non addirittura per risolverli.

Dal punto di vista di Gaia, ogni tentativo di razionalizzare una biosfera soggiogata, su cui regna l’uomo, è destinato al fallimento, come il concetto simile del colonialismo benevolo. Ambedue partono dal principio che l’uomo ha il possesso di questo pianeta; se non ne è il proprietario, ne è il locatore. 

Le battaglie vengono condotte sotto la copertura di slogan magniloquenti come giustizia, liberazione o autodeterminazione nazionale, che servono solo a coprire le vere motivazioni dell’avidità, del potere e dell’invidia.

Se accettiamo il nostro ruolo come parte integrante di Gaia, i nostri fastidi sono i suoi.

L’evoluzione dell’Homo sapiens, con la sua capacità inventiva tecnologica e la sua sempre più sofisticata rete di comunicazioni, ha enormemente accresciuto la gamma di percezioni di Gaia. Attraverso noi, essa è ora conscia di sé stessa. 

Parte della nostra ricompensa nell’adempiere al nostro ruolo biologico di creare una famiglia e di crescerla è un intimo senso di soddisfazione. Per quanto duro e deludente possa essere a volte tale compito, siamo pur sempre gradevolmente consapevoli, a un livello più profondo, di aver recitato la nostra giusta parte e di essere rimasti nella corrente della vita.

Guarire Gaia
Healing Gaia, 1991

Gli umani sulla terra si comportano per certi versi come un organismo patogeno, o come le cellule di un tumore o di una neoplasia. Siamo cresciuti così tanto in termini di numeri e disturbi arrecati a Gaia che la nostra presenza è diventata sensibilmente molesta.

La specie umana è oggi talmente numerosa da costituire una grave malattia planetaria. Gaia soffre di Primatemaia disseminata, un’epidemia di genti.

La rivolta di Gaia
The Revenge of Gaia, 2006

Il nostro futuro è come quello dei passeggeri di una piccola imbarcazione da diporto che naviga tranquillamente sopra le cascate del Niagara, senza sapere che i motori stanno per incepparsi.

Novacene
L'età dell'iperintelligenza, 2019 - Selezione Aforismario

Per la maggior parte della sua esistenza, e fatta eccezione per un breve momento, il cosmo non ha saputo nulla di se stesso. Soltanto quando l’umanità ha sviluppato gli strumenti e le idee per osservare e analizzare lo stupefacente spettacolo della chiara notte stellata, il cosmo ha cominciato a svegliarsi dal lungo sonno dell’ignoranza.

L’esistenza degli esseri umani è qualcosa di bizzarro e unico.

È difficile credere che siamo soli in un cosmo che contiene duemila miliardi di galassie, ciascuna formata da cento miliardi di stelle.

L’estinzione umana è sempre stata un rischio imminente. Come conoscitori del cosmo siamo piuttosto fragili, aggrappati precariamente alla Terra. La nostra unica casa.

La scienza non è mai certa o esatta. Il meglio che siamo riusciti a fare è esprimere la nostra conoscenza in termini di probabilità. Dobbiamo riconoscere che siamo tuttora animali primitivi.

Ci sono ancora moltissime cose comprensibili da scoprire sull’universo, ma vi è un numero sconosciuto e probabilmente molto più grande di fatti indescrivibili e che, allo stato attuale, non potremo mai comprendere.

L’estinzione umana non sarebbe una cattiva notizia soltanto per noi, ma anche per tutto il cosmo. Supponiamo che io abbia ragione e che non esistano alieni intelligenti; la scomparsa della vita sulla Terra implicherebbe allora la fine di ogni forma di conoscenza e capacità di comprendere. Il cosmo cosciente morirebbe.

È necessario assicurarsi che l’evoluzione di tutte le forme di vita sulla Terra prosegua, soltanto così infatti potremo affrontare i rischi sempre crescenti che inevitabilmente minacciano noi e Gaia, il grande sistema di cui fanno parte tutte le forme di vita e tutta la materia del nostro pianeta.

Nonostante venga associato alle macchine, l’Antropocene è un effetto della presenza della vita sulla Terra, un prodotto dell’evoluzione, un’espressione della natura.

Gli errori commessi dai movimenti verdi sorgono dalle loro semplificazioni (dovute a ragioni politiche) e dall’apparente rifiuto di tutte le cose positive che l’Antropocene ci ha portato. 

L’intelligenza che darà il via all’età successiva all’Antropocene non sarà umana, ma qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che è stato concepito finora. La sua logica, diversamente dalla nostra, sarà multidimensionale.

La Terra, come me, è molto vecchia. Tanti anni possono o non possono renderci saggi, ma sicuramente ci rendono fragili. 

Note
Leggi anche le citazioni degli autori inglesi: Richard Dawkins - John Nicholas Gray

Frasi e citazioni di John Nicholas Gray

Selezione di frasi e citazioni di John Nicholas Gray (South Shields, 1948), filosofo della politica e saggista inglese, professore di Pensiero Europeo alla London School of Economics. Le seguenti riflessioni di John Gray son tratte dai libri: Cani di paglia (2002), Il silenzio degli animali (2013), L'anima della marionetta (2016) e Filosofia felina (2020).
Foto di John Nicholas Gray
Gli umani non sono diversi da qualsiasi altro animale infestante. Da soli non possono
distruggere la terra, ma possono distruggere con facilità l’ambiente che dà loro la vita.
(John Gray)

Cani di paglia
Straw Dogs: Thoughts on Humans and Other Animals, 2002 - Selezione Aforismario

Oggi sono in molti a credere di appartenere a una specie che un giorno sarà padrona del proprio destino. Ma questo è un atto di fede, non è scienza. Nessuno parla di un futuro in cui le balene o i gorilla saranno padroni dei loro destini. Perché per gli esseri umani dovrebbe essere diverso?

Le specie non possono controllare il proprio destino. Esse non esistono. Ciò vale anche per gli uomini. Eppure ce ne dimentichiamo ogni volta che parliamo di «progresso del genere umano». Abbiamo riposto la nostra fede in un’astrazione che nessuno si sognerebbe di prendere sul serio se anch’essa non fosse intrisa delle logore speranze del Cristianesimo.

Credere nel progresso significa credere che, grazie ai nuovi poteri messi a nostra disposizione dalle conoscenze scientifiche, gli umani possono liberarsi dalle restrizioni che vincolano le vite degli altri animali. Oggi, questa è la speranza condivisa praticamente da tutti. Ma è una speranza priva di fondamento.

Per quanto possa ampliare le sue conoscenze, per quanto possa accrescere di conseguenza il suo potere, l’animale umano rimarrà sempre lo stesso: una specie molto creativa e, al contempo, una delle più rapaci e distruttive.

Se la specie umana verrà re-ingegnerizzata, non sarà grazie a un’umanità che, come un dio, assume il controllo del proprio destino, ma solo un altro giro nella ruota del destino dell’uomo.

La distruzione del mondo naturale non è il risultato del capitalismo globale, dell’industrializzazione, della «civiltà occidentale» o di qualche crepa nelle istituzioni umane. È la conseguenza del successo evolutivo di un primate eccezionalmente rapace. Nel corso della storia e della preistoria, l’avanzata dell’uomo è andata di pari passo con la devastazione ecologica.

Una popolazione mondiale che sta per sfiorare gli otto miliardi di individui può sopravvivere soltanto spogliando la terra.

Gli umani non sono diversi da qualsiasi altro animale infestante. Da soli non possono distruggere la terra, ma possono distruggere con facilità l’ambiente che dà loro la vita.

Il termine umanesimo può avere molti significati, ma fondamentalmente equivale a fede nel progresso.

L’«umanità» non esiste. Esistono soltanto gli umani, guidati da illusioni e bisogni contraddittori e soggetti a ogni sorta di malattia della volontà e del giudizio.

Una cosa è certa a proposito del secolo che stiamo vivendo: il potere conferito all’«umanità» dalle nuove tecnologie verrà utilizzato per commettere crimini atroci contro l’umanità stessa.

Si può ignorare il potenziale distruttivo delle nuove tecnologie soltanto se si ignora la storia. I pogrom sono vecchi come la cristianità; ma senza ferrovie, telegrafo e gas velenosi non ci sarebbe stato nessun Olocausto.

I crimini più efferati dell’umanità sono stati resi possibili dalla tecnologia moderna.

C’è una ragione profonda per cui l’«umanità» non controllerà mai la tecnologia. La tecnologia non è qualcosa che il genere umano può controllare. È semplicemente qualcosa che è capitato al mondo.

Un solo problema non può essere risolto dal progresso tecnologico: la fragilità della natura umana. Sfortunatamente, è un problema irresolubile.

La massa degli esseri umani non è governata da pulsioni morali intermittenti, ancor meno da egoismi, bensì dai bisogni del momento. E questa massa sembra essere destinata a compromettere l’equilibrio biologico della terra e quindi a diventare l’agente della propria distruzione.

Chi ama la terra non sogna di diventare il saggio custode del pianeta, sogna un’epoca in cui gli umani non contano più nulla.

I fondamentalisti religiosi credono di possedere la cura per i mali del mondo moderno. In realtà, essi sono i sintomi della malattia che pretendono di curare.

Se le persone rimangono ancora legate alla fede nel progresso, non è per reale fiducia ma per paura di ciò che potrebbe loro accadere se mollassero la presa.

Per gli umani la scienza rappresenta un rifugio dall’incertezza, essa promette e, in certa misura, anche compie il miracolo della liberazione dal pensiero; le chiese, al contrario, sono diventate i santuari del dubbio.

Agli occhi dei filosofi, la scienza è un’attività supremamente razionale. Eppure la storia della scienza racconta anche di scienziati che hanno disobbedito alle regole del metodo scientifico. Non solo le origini, ma lo stesso progresso della scienza nascono da prese di posizione contro la ragione.

La scienza è stata utilizzata per confortare la pretesa che vuole gli umani diversi dagli altri animali in virtù della loro capacità di comprendere il mondo. In realtà, il suo valore supremo potrebbe essere quello di mostrare che il mondo che gli umani sono programmati a percepire è una chimera.

La mente umana è al servizio del successo evolutivo, non della verità.

Solo una persona miracolosamente ignara della storia potrebbe credere che la competizione tra le idee conduca al trionfo della verità. Non c’è dubbio, le idee sono in competizione tra loro, ma di norma escono vincenti quelle che stanno dalla parte del potere e della follia umana.

La scienza non può essere utilizzata per plasmare il genere umano in una forma più razionale. Qualsiasi nuovo modello di umanità potrà soltanto riprodurre le deformità naturali dei suoi creatori.

È una strana fantasia supporre che la scienza possa portare la ragione in un mondo irrazionale: tutto ciò che può fare è dare un’altra curvatura alla normale follia.

Gli umani non possono vivere senza illusioni. Per gli uomini e le donne di oggi la fede irrazionale nel progresso rappresenta l’unico antidoto contro il nichilismo. 

Cercare il senso della storia è come cercare degli schemi formali nelle nuvole.

I filosofi hanno sempre cercato di dimostrare che noi non siamo come gli altri animali, annusando in maniera esitante le loro piste in giro per il mondo. Tuttavia, nonostante tutto il lavoro profuso da Platone e Spinoza, Descartes e Bertrand Russell, non abbiamo una ragione in più rispetto agli animali per credere che il sole sorgerà domattina.

L’importanza della moralità è una finzione. È qualcosa che usiamo nelle storie che raccontiamo a noi stessi e agli altri per dare alle nostre vite un senso di cui esse sarebbero altrimenti prive. Ma, così facendo, ci nascondiamo la verità sul nostro modo di vivere.

La moralità è una malattia esclusivamente umana, la vita buona è il perfezionamento delle virtù animali.

Non è mai esistita un’età dell’oro in cui regnasse l’armonia con la terra. La maggioranza dei cacciatori-raccoglitori delle origini erano tanto rapaci quanto gli umani che sono venuti dopo di loro.

L’homo rapiens è solo una fra le tante specie, e non è detto che sia degna di essere perpetuata. Presto o tardi si estinguerà. Allora la terra potrà guarire. Molto tempo dopo che saranno scomparse le tracce dell’animale uomo, molte delle specie che egli è così deciso a distruggere esisteranno ancora e altre ne nasceranno. La terra dimenticherà l’umanità. Il gioco della vita continuerà.

Il progresso è un dato di fatto. Ma la fede nel progresso rimane comunque una superstizione.

Il silenzio degli animali
The Silence of Animals: On Progress and other Modern Myts, 2013

Pochi individui si rendono conto che la loro vita, l’essenza stessa del loro carattere, le loro capacità e la loro audacia, sono solo l’espressione della loro fiducia nella sicurezza di ciò che li circonda. Il coraggio, la compostezza, la fiducia; le emozioni e i principi; ogni pensiero grande e ogni pensiero insignificante non appartiene al singolo individuo ma alla folla: alla folla che crede ciecamente nella forza irresistibile delle sue istituzioni e della sua morale, nel potere della polizia e della sua opinione.

Per pensare agli esseri umani come amanti della libertà, bisogna essere pronti a considerare quasi tutta la storia come a un errore.
[To think of humans as freedom-loving, you must be ready to view nearly all of history as a mistake].

La storia può essere un susseguirsi di assurdità, di tragedie e di crimini; ma – insistono tutti – il futuro può ancora essere migliore di qualsiasi cosa passata. Rinunciare a questa speranza indurrebbe uno stato di disperazione.

Se c’è qualcosa di unico nell’animale umano è che ha la capacità di accrescere la conoscenza a un ritmo accelerato pur essendo cronicamente incapace di imparare dall’esperienza.

Come la musica scadente, il mito del progresso solleva gli spiriti mentre intorpidisce il cervello.

L'anima della marionetta
The Soul of the Marionette: A Short Inquiry into Human Freedom, 2016

Il progresso della ragione ha l’effetto di indebolire le illusioni necessarie alla civiltà.

Unici tra tutti gli animali, gli esseri umani cercano un significato nella loro vita uccidendo e morendo per amore di sogni senza senso.

Filosofia felina
Feline Philosophy, 2020 - Selezione Aforismario

Gli uomini non possono diventare gatti; eppure, se mettessero da parte il convincimento di essere creature superiori, forse riuscirebbero a intuire in che modo quei felini riescono a vivere così bene senza interrogarsi ansiosamente sul come farlo.

I gatti, concretissimi, di rado fanno qualcosa che non abbia uno scopo preciso o non offra loro un godimento immediato. Messi di fronte alla follia dell’uomo, si limitano a passare oltre.

I gatti non hanno bisogno della filosofia. Obbedendo alla propria natura, si reputano paghi di ciò che la vita offre loro. Negli uomini, al contrario, l’insoddisfazione pare una costante.

Con esiti prevedibilmente tragici e farseschi, l’animale uomo si sforza sempre di essere qualcosa che non è. I gatti no. Gran parte della vita umana è una lotta per la felicità; tra i gatti, al contrario, la felicità è lo stato naturale cui fare ritorno una volta eliminate le minacce concrete al proprio benessere.

La filosofia testimonia della fragilità della mente umana. Gli uomini si lanciano in elucubrazioni filosofiche per la stessa ragione per cui pregano: hanno plasmato un senso per le proprie vite, ma sanno che è fragile e vivono nel terrore che si sgretoli.

I gatti non hanno bisogno di analizzare la propria vita, perché non dubitano che valga la pena di essere vissuta. L’autocoscienza umana ha prodotto quella perpetua insoddisfazione che la filosofia ha cercato invano di curare.

Quando qualcuno afferma che il suo scopo nella vita è essere felice, in realtà sta dicendo che non lo è: vede la felicità come un progetto, e cerca la propria realizzazione in un futuro indeterminato. Il presente scivola via, e si insinua l’ansia. 

Mentre nell’uomo la felicità è uno stato artificiale, per i gatti è la condizione naturale; a meno che non siano confinati in ambienti per loro innaturali, non si annoiano mai. 

Le nostre esistenze sono plasmate dal caso, le emozioni dal corpo. Gran parte della vita umana – e della filosofia – consiste in un tentativo di distogliere l’attenzione da questo dato di fatto.

I gatti non pianificano l’esistenza: la prendono come viene. Gli uomini, invece, non possono fare a meno di trasformare la loro vita in una storia. Siccome però non sanno come andrà a finire, la vita stessa scombussola la storia che cercano di raccontare. Così finiscono per vivere al modo dei gatti: a caso.

Gli esseri umani non scelgono di agire secondo morale più di quanto scelgano di starnutire o sbadigliare. Le filosofie secondo cui una buona vita si basa su comportamenti che si è scelto sono giochi di prestigio il cui scopo è ingannare l’illusionista.

Se i gatti potessero comprendere che gli uomini sono alla ricerca del senso della vita, si concederebbero fusa deliziate di fronte a una tale assurdità. Per loro, esistere per quel che sono ha già abbastanza senso. Gli umani, al contrario, non possono fare a meno di cercare un significato oltre le proprie vite.

Non esiste alcuna scala di valori cosmica, nessuna grande catena dell’esistenza, né un modello esterno in base al quale si possa giudicare il valore di una vita. Gli uomini sono uomini, i gatti sono gatti. La differenza è che, mentre i gatti non hanno nulla da imparare da noi, noi possiamo imparare da loro ad alleggerire il peso che accompagna la condizione umana.

La buona vita non è quella che potremmo aver sperimentato o che ancora ci aspetta: è quella che abbiamo. È in questo che i gatti possono farci da maestri, perché non rimpiangono le vite che non hanno vissuto.

Tentare di convincere un uomo a essere razionale è come tentare di convincere un gatto a diventare vegano.

Chi si offre di rendervi felici lo fa solo per essere meno infelice lui stesso. La vostra sofferenza gli torna utile: senza, avrebbe meno ragioni per vivere. Diffidate di quanti sostengono di vivere per gli altri.

Vivere come un gatto significa non desiderare altro che quello: l’esistenza che si conduce.

Note
Leggi anche le citazioni degli autori inglesi: Isaiah Berlin - Richard Dawkins - James Lovelock